Michela Murgia, un mio ritratto |
Alla sinistra italiana piace da matti farsi schifare. Non solo dagli avversari politici ma soprattutto dai possibili elettori (el pueblo) e dai propri interpreti naturali. Potremmo definirlo come un atteggiamento di inconsapevole sadomasochismo declinato all'universale dell'eterno ideale. Suona limitante e un po' forzato ma, nel sottile, si tratta proprio di quello, cioè di un istinto passionale, non troppo nobile e progressista (la violenza di solito parte dagli arti destri), figlio di un certo tipo di presunzione, spacciata per posizione intellettuale. Ma forse il problema è freudiano e fondato sull'inganno dell'idealismo e del suo dover essere sempre un "quasi sempre": l'uomo di sinistra si pone quasi sempre al di sopra dei propri istinti. Indossa quasi sempre una tripla sovrastruttura, pure con il caldo e pure in casa. E ciò lo rende quasi sempre pesante, inabile all'autoironia e soprattutto nevrotico, risentito, rissoso, ostile, vendicativo, anche nel momento in cui si pone al servizio della conciliazione, del rispetto delle istituzioni e del potere o della logica democratica. Il sorriso dell'uomo di sinistra è quasi sempre reattivo, cioè antipatico, cattivo e unto di disprezzo. Il gioco dell'uomo di sinistra è quasi sempre soffocato dalla tattica, prevedibile e presuntuoso, cioè scadente. Questo per rispettare una storia, una linea immaginaria euclidea, interrotta e deviata già cento volte.
In poche parole, l'uomo di sinistra (e lo stesso vale per la donna: parlo di uomo in senso di individuo umano, mi perdonino le femministe) appare sempre signorile e poco violento rispetto all'uomo di destra, solo perché l'uomo di destra esprime con più genuinità le proprie cazzate: le spara grosse, le grida, se ne frega dell'analisi più sottile.
In questi ultimi confusi giorni di contrapposizione di trasparenze e di volgarissime distrazioni geometriche è capitato più volte che L'Espresso se ne uscisse con articoli di cultura d'ispirazione militante che hanno fatto storcere il naso pure ai nonni dell'ANPI. L'ultima trovata è diventata una specie di barzelletta triste invisa di qua e di là del Nazareno e criticata pure da Gramellini (il simbolo puro della scontatezza critica di sinistra): il fascistometro, un test inventato da Michela Murgia per promuovere il suo nuovo libro edito da Einaudi intitolato Istruzioni per diventare fascisti. Una provocazione leggera e sana come il tofu che è risultata, come assaggio, in bocca a tutti più amara di un veleno eccessivamente carico, acido, seccante, offensivo. O più o meno. O, di nuovo, quasi sempre. O per sempre.
Il fascistometro è un questionario fondato su sessantacinque proposizioni (frasi vere pronunciate da politici) che misura quanto siamo fascisti. Il gioco è semantico ed ermeneutico. La Murgia ci vuole far notare che politici di destra e di sinistra usano spesso le stesse cattive parole e risultano ugualmente reazionari, violenti e razzisti. Poi vuole pure dirci che siamo tutti un po' fasci. Il che è vero. Ma non nella misura in cui ce lo segnala il test.
Il problema di fondo non sta nell'uso strumentale o lato del termine fascismo. Il fascismo è un fatto storico, e quindi non appartiene solo al passato (come osano proclamare gli incolti), ed è davvero una categoria universale e declinabile, anche per difetto, a tutte le individualità agenti nel presente. Il fascismo è dovunque... Come atteggiamento, come indole, come prospettiva, come ideale, come ombra. È però, il più delle volte, un fascismo stupidino o incosciente o esteriore, quindi perdonabile. Di più: accettabile. Un fascismo che non permette condanne così indignate e preoccupate. Un quasi mai opposto al quasi sempre della sinistra.
Quando ci si accanisce troppo per niente, per esempio, si è un po' fascisti. Quando si scherza con troppa veemenza, pure. E lo stesso quando si è troppo pesanti e litigiosi. Eh, il cattivissimo buonismo si scontra senza stile con la tenerissima violenza di Callicle. Cede brutalmente ai modi dell'uomo della strada. Che può andare a destra. O a sinistra. Dove gli conviene. Dove vanno gli altri. Tanto è per strada, e deve andare... Ma questo non è un male. La strada è solo un metodo. Una via. Triviale. Non indica un per sempre. E nemmeno un quasi sempre. Non è un male neanche il test della Murgia: nessuno si dovrebbe permettere di offenderla per la sua idea e il suo gioco. La cultura (con tutti i suoi massimi interpreti e i suoi filistei) dovrebbe difenderla. Io la difendo! Non toccate la Murgia! Perché il male è più a fondo. Un metro e mezzo più giù. E il fascistometro misura cose piccole, vale per l'oggi, anzi per ieri, non per il per sempre o per il quasi sempre, e non può andare più in profondità. Giustamente.
Il fascismo c'è stato e c'è nei nostalgici. Va condannato. Certi partitini inneggianti al duce vanno sciolti, quanto prima. Ma il discorso di Michela Murgia non aiuterà la coscienza collettiva a mettere a fuoco l'argomento, né contribuirà a combattere il fascismo residuo nello Stato italiano.La sua è una provocazione, sciocchina e presuntuosetta. Tra qualche mese ce ne saremo dimenticati tutti.
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