Nella perfida terra di "Nella perfida terra del regno di Dio"


Povera Puglia. Infinita e infelice Puglia, che tutti sfruttano e poi sfrattano dal suo essere margine. Puglia feudo di Casal Di Principe.  Puglia lombarda. Puglia americana. Puglia kafkiana. E ci mancava solamente la Puglia western. Così descrivono lo scenario di Nella perfida terra di Dio di Omar Di Monopoli (Adelphi): western salentino. Senza sobrietà, senza gusto, senza misura. In un pieno di arrogante stilizzazione del fantastico trascinato per i capelli nel reale. In una lingua che speriamo spuria. Intelligibile allora falsa. Di moda. Di mafia. Volgarissima e ridicola moda della mafia. Mafia della moda. E in tutto questo la categoria del western appare buttata lì a capa di cazzo. Perché è di tendenza. E fa cupo. Come il gusto weird, come la violenza che invade la miseria del quotidiano, lo straniante tirato con furia, come un grammo giallo dopo il caffè alle undici di mattina. Il nuovo canone è questo qua: la bestialità dei letterati che giocano alla crudeltà e all'imbarbarimento.

E non è mica un imbarbarimento reale. Manco per sogno. È un abbrutimento sofisticato, calcolato, sceneggiato, vendibile, riproducibile. Una trappola che funziona perfettamente.

Ci sono croste dovunque. Nella trama. Nella lingua. Perché si dice che ci sia bisogno di una nuova lingua in narrativa. Dialettale, di connotazione, di folklore nero e contaminata. Come quella che si parla nella perfida terra. Una prova gaddiana... dunque un'invenzione fraudolenta e puntata all'ipertrofia del letterario. Al sud del sud. Un sud falso ed esotico come quello di Sandokan, non il camorrista. E se un romanzo così povero nella sostanza e illuso nella composizione è diventato estetica al ribasso per cento nuove prove di falsificazione del racconto, la colpa non è di Di Monopoli ma di chi lo ha fomentato, di chi a suo tempo non gli ha detto di abbassare la cresta e di badare al sodo, di tornare a subordinare in lingua italiana. Ecco l'Inconcignitas di Briatore che si compra il Salento. E invece, a Di Monopoli, lo abbiamo trattato da Faulkner. Gli abbiamo dato del furore. Il crudo crudussimo post-tarantiniano a Taranto... ma che vergogna! Io dico no, miei cari. E chiedo all'autore di evadere dall'abisso in cui si è gettato. Perché l'autore aveva, ha le sue qualità.

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