Salinger ci sfotte



Storiaccia di un piccolo racconto perduto, ritrovato, che c'è sempre stato e che ci fu dimenticato, mistificato, schifato, osservato con occhi miopi e poi astigmatici. La storia di Hapworth 16, 1924 di J. D. Salinger, che apparve il 19 giugno 1965 sul New Yorker: l'ultimo sedizioso lamento dell'autore prima di ritirarsi nel suo bunker morale ed editoriale. Ma si sa, la solitudine forzata, il mito dell'autoesclusione dell'artista e le ragioni di guerra contro il mondo della letteratura resero Salinger uno scrittore fondamentale, proprio nel momento in cui perse la voglia di scrivere. Finché pubblicava, la gente se lo cacava sì e no. Dopo dieci, vent'anni di silenzio e mistero, la gente cominciò ad amarlo alla follia. Gli editori che provavano a contattarlo e ricattarlo per pubblicare le sue cose venivano regolarmente mandati a fanculo. Poi nel 1988, una piccola casa editrice chiamata Orchises Press avanzò una timidissima proposta di pubblicazione per Hapworth 16, 1924, uno dei pochi testi inediti dello scrittore. Grande sorpresa: Salinger disse loro: "ok, si può fare, ci penserò su... ma parlatene prima con i miei avvocati".

I legali di Salinger risposero alla Orchises Press dopo otto anni. In pratica, Saliger si era deciso e aveva voglia di parlare con l'editore, telefonicamente. La telefonata ci fu. Si organizzò anche un incontro in un ristorante. Si prepararono le bozze e la copertina. Salinger pretese che dalla distribuzione venisse escluso il Dartmouth Bookstore, che era il negozio più vicino a casa sua. Diceva di vergognarsi. E nella primavera del 1997, l'editore mandò in giro per l'America il comunicato stampa.

Il casino cominciò quando il tizio della Orchises accettò di rispondere alle interviste dei giornalisti increduli. Tutti tornarono a parlare di Salinger, dell'autore sociopatico che tornava al mondo dei vivi. I distributori fiutarono l'affare e imposero un prezzo di copertina che non piacque a Salinger, poi il New York Times riprese la vecchia pubblicazione del New Yorker e fece uscire una recensione. Una stroncatura. Salinger se la prese a morte e vietò la pubblicazione del testo. Ma ormai il racconto era noto a cani e porci, anche se non edito. In tutto il mondo, gli editori cominciarono a darsi da fare. Pure in Italia, dove la piccola casa editrice Eldonejo fece uscire il racconto nell'estate del 1997 con una traduzione non autorizzata. Le poche copie di tiratura sparirono in poche settimane, poi l'editore fu costretto a nascondersi e a evitare di tornare sull'argomento. In sostanza fu un libro pirata (oggi il volume, in traduzione di Magherini, costa sui 100 euri: https://www.amazon.it/Hapworth-16-1924-J-D-Salinger/dp/8885003281).

Sappiamo che Salinger era un tipo autocritico e paranoico. Diceva di vergognarsi di Hap 16. E in realtà, delle ragioni per vergognarsi c'erano. Non è il suo racconto migliore. I protagonisti, gli umori, i contenuti sono quelli soliti. Un minestrono riscaldato male. All'epoca dell'uscita sul New Yorker queste critiche erano assai diffuse. La recensione del 1997 nel New York Times fu un po' stronza ma non eccessivamente severa. L'ira del recensore aveva motivazioni tecniche: il racconto zoppicava. Ma oggi tutto è cambiato. Oggi guardiamo a Hap 16 come a un capolavoro. E come guardiamo, noi? Con occhi presbiti, daltonici e ipermetroci. Ci piace tutto di Salinger. Ci piace la sua incertezza, il suo gusto surreale, il suo perdersi, il suo pseudo-occultismo, il suo sospendere e pendere. Ci piace il suo insistere sull'infantilismo, ci piace il modo in cui i suoi adulti si comportano da bambini e quello in cui i bambini di sette anni si esprimono come dottori in linguistica romanza. Amiamo Seymour Glass. Amiamo unire il filo dei racconti, cercare significati nascosti, scorgere l'illuminazione in un dettaglio. Chiudere il cerchio. Ma c'è che Salinger, il cerchio, lo ha tracciato a mano libera e a scatti, lasciando un sacco di vuori, allontanandosi troppo dal centro e smarrendo l'angolazione necessaria. Non credo lo abbia fatto di proposito. In mezzo ci sono stati troppi anni. Noi strizziamo gli occhi per spiare tra i caratteri, valutiamo la profondità dell'ombra e facciamo i conti. Lui si lasciava andare. E ci sfotteva. E ci sfotte anche oggi.

E voi, lo avete letto? Qui sotto lo trovate in inglese.
https://www.newyorker.com/magazine/1965/06/19/hapworth-16-1924




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