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Houellebeq, disegno




Uh, madonna mia, quanto è letteraria, la malinconia dei vecchi brontoloni! Ma per fare un suo bell'effetto deve saper essere pure geriatrica e razionalmente disfattista e tenera per pervicacia (ma senza facili tenerezze) riguardo alle riflessioni più coraggiose, tipo sul declino della società occidentale o di un cazzo vecchio e moscio, che diventa simbolo di arresa. Dismettendo il desiderio e la snervante ricerca di felicità, mandando al diavolo il gusto per la profondità e gli orgasmi, Michel Houellebecq si è all'improvviso scoperto più solo che mai, più brutto del solito: decrepito, incapace di piacere (che è l'ultimo grande, inutile rimedio all'assurdo), schifato a destra e a sinistra, dai razzisti e dagli anti-razzisti. Per questo in Serotonina s'inventa un nuovo personaggio (Florent-Cloude Labrouste) a cui far vivere i propri incubi. Un giovane maturo che fallisce proprio come un vecchio. La storia è quella di un quasi cinquantenne quasi depresso che, quasi costretto dalla vita, inghiotte certe pillole assassine di libido: serotonina appunto. Pillola dopo pillola, il suo essere sociale si ritira, e così l'uomo sparisce. Labrouste lascia tutto (lavoro statale, casa, compagna, impegni, amici), si chiude in un alberghetto d'atmosfera e qui inizia a campare di ricordi. Ma più ricorda e più si sente schiacciato dall'angoscia. E allora prende ancora antidepressivi (le pillole bianche). Sempre di più, sempre di più.


E questa è la letteratura: un arrivare al fondo. L'amato e odiato scrittore francese de Le particelle elementari ha sempre inteso la scrittura come un'analisi. E qui l'analisi si fa particolarmente seria. Si fossilizza nel suo compito igienico, con quel tipico sapore antisettico, di farmacia, un po' collutorio, un po' mercurio cromo, della fine. La scrittura diventa collezione di ricordi catarrosi, profumi svaporati, paure ostentate e dissimulate, analisi non per forza filosoficamente pertinenti su ogni collo di cazzo e pelo di pucchiacca, discorsi sul mondo, nella bolla di oblio programmato degli anni '10. Esteticamente siamo al cospetto di un eccesso di gusto per la monomania, con o senza trama. Houellebecq lascia spazio solo qualche evento, non indispensabile, su uno sfondo di cosciente rassegnazione, delusioni, rancori, recriminazioni e noie. 

Non si può fare niente, perché si può far troppo, e allora niente conta, e niente funziona, e siamo tutti condannati a una vita di merda, inchiodati al passato così e così (ma da rivalutare a prescindere), appesi ad aspettare un futuro di false speranze o di totale annullamento. Tutto è impotenza, dal pesce al cervello. Purtroppo però l'idea centrale del libro intitolato Serotonina è un po' sciocca: Houellebecq dice che quest'impotenza nasce dalle aspettative sbagliate, dai pensieri fuori fuoco. Dice quello che dice pure il detto: il cazzo non vuole pensieri. E allora bisogna buttarsi sulla cultura vera. Schopenhauer, misticismo ascetico cattolico, buddismo, Leopardi, tié. Si deve abbandonare del tutto il desiderio. Con una castrazione. Morale, sessuale, istintuale, esistenziale. Letteraria. Nei ritmi concisi e qualche volta convulsi, come nei periodi dilatati e rimbambiti di chi si pensa sotto.


La copertina di Serotonina
La brutta copertina scelta da La nave di Teseo per Serotonina

Si immaginerà una nuova civiltà senza desiderio, senza delusioni, senza stanchezza. Un'allucinazione molto lucida di tragedia a venire, "con pochissimo spargimento di sangue". Gli esegeti più fanatici di Houellebecq vedono in questa cosa una specie di profezia: una dolcissima, pungente distopia. Ma leggendo bene il romanzo, togliendosi cioè le lacrime di compassione e la condiscendenza interessata dalle tasche, si capisce subito che non c'è dentro un briciolo di politica (niente rabbia da gilet gialli, niente violenza im-moralista, niente critica illuminata alla società dei bisogni e dei desideri indotti dalla pubblicità e dal porno gratuito) e non c'è neanche scandalo o sublimazione. Il sesso attivo manca, sì, e questa cosa ha fatto incazzare alcuni raffinati voyeur letterari, di quelli che adorano farsi le pugnette su Nabokov, e ovviamente il vecchio (giovane) Houellebecq. Qui il sesso è solo ricordato, rimpianto e un po' schifato. Non c'è reale salvezza né seria condanna. Michel lo sa che queste cose sono tutte fesserie. A lui importa ancora saper produrre una prosa tersa e insieme scomoda, un po' amara. E qua ne dà prova. Vita e morte senza trauma di una scrittura. Senza ostentazione. Senza leccature. Io ci vedo un miglioramento. Meglio il nuovo (vecchio) Houellebecq (meno poetico, meno porno, meno sottomissine, meno piattaforma e meno ricerca della felicità) che quello vecchio (giovane). Chi rimpiange non sa cosa e perché rimpiange. Un desiderio? Castratelo.

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