Pezzi di Andrea Pezzi



Rimpiangete mai voi stessi? Vi capita di affogare nell'acidulo ricordo dell'intelligenza che dimostravate in adolescenza, quando vi bastava uno sguardo per capire chi era degno e chi non si poteva sopportare e non meritava alcun rispetto? A rovinarci, immagino, deve per forza intervenire qualcosa di orribile, come l'età, con la sua cultura di tolleranze e seconde opportunità, sguardi più profondi e ragioni meno istintive. Lo studio, la responsabilità, la pietà, la disperazione, la tristezza... tutte cose che scimuniscono l'essere umano.

Per esempio, ricordo di quando guardavo MTV e vedevo Andrea Pezzi, il vj, che sorrideva entusiasta, crepitante di commenti, smorfie, appelli, energie nervose, mostrando le gengive, insomma lo fissavo e ogni volta pensavo: questo è un falsone, uno spietato pronto alle peggiori nefandezze pur di apparire, un superficiale dalla stempiatura alla suola dei mocassini. Lo trovavo assolutamente falso e fastidioso quando cominciò ad allargarsi, a fare il presentatore, a organizzare chiassosi talk-show e discussioni speciali atte a intrigare le menti confuse dei giovani mezzi alternativi, con Morgan ospite fisso, le ricette nella cucina più finta di lui con il divanetto dalla pelle rovinata in bella mostra, le interviste ai cantanti, agli scrittori, ai fabiovolo, gli improvvisi e inutili sfoghi esistenzialisti, parapsicologici e spirituali e altra robaccia così. Andrea Pezzi, un pezzo dei peggiori anni '90. E vi ricordate quando si mise con la Pandolfi, che per lui lasciò il marito con il quale s'era sposata tipo due settimane prima? Poteva essere il gossip del decennio, invece fu anche quella una cosetta senza senso. La Pandolfi, che deve essere una donna molto sensibile e intelligente, lasciò subito anche lui.

Temevo fortemente che uno così sarebbe diventato il nuovo Corrado, un mostro, un Paolo Bonolis più cool da one-man-show su Italia1. E invece è diventato altro. Qualcosa di molto nebuloso ma altrettanto spaventoso. Piaceva un sacco, Andrea Pezzi. Rappresentava una novità. Si diceva: quanta freschezza in Andrea Pezzi! Offriva al pubblico sempre qualcosa di nuovo, di aggiornato, e aveva pure imparato a sorridere di meno, più a proposito. In certe occasioni si faceva più serio e riflessivo. E io pensavo: questo adesso arriva a condurre Sanremo. A un certo punto presentava un programma in terza serata sulla RAI, intervistava Battiato, e mi pareva umanamente migliorato. Cominciai a perdonarlo e a giudicarlo diversamente. Forse, pensavo, gli imponevano quella veste da effervescente esagitato. Forse lui è diverso. Il vero superficiale sono io che mi sono permesso di interpretarlo senza soffermarmi meglio sulle sue qualità. Insomma, Andrea Pezzi poteva sbancare. Così stimavo a inizio anni '00. Ma fortunatamente per lui mi sono sbagliato. Andrea Pezzi s'era voluto fare simbolo di una generazione. E morta quella generazione, s'è dovuto togliere di mezzo... per puntare al potere vero. Dice che si è trasferito in Russia, dove si è laureato in psicologia. Lui lo dice, sul suo sito, e specifica: psicologia a indirizzo filosofico. Bello. Ma che è? Mai sentita una cosa genere... comunque, dopo essersi reinventato consulente aziendale, imprenditore ed esperto di comunicazione, Andrea ha cominciato a fare i soldi veri e a uscire con la Capotondi. Dicono che in un anno sia passato da una società di 100.000 euro scarsi a un fatturato da 50.000.000 di euro. Cercate sul web se non ci credere. Facendo cosa? Lavorando per la Tim e Berlusconi, a quanto pare.

E sarebbe già molto interessante indagare su questo gatsbyiano exploit da uomo d'affari... Ma non ci compete. Ci compere invece il fatto che Pezzi abbia scoperto un altro pezzo di sé, il peggiore, ed è diventato scrittore.

Ho letto qualcosa della sua ultima fatica: Io sono, uscito per La nave di Teseo, un saggio neocartesiano, dove si parla tanto, in poche pagine, dell'essere umano che deve tornare al centro dell'esistenza. Qual è il giusto rapporto tra individuo e tecnologia? Quali sono le esigenze reali, veramente importanti, di un uomo? Cosa rende un essere un umano? Meglio scegliere in base all'algoritmo o alla vecchia, fallibile volontà umana? Ecco le domande sviluppate nel lavoro. A cui Pezzi risponde sempre con sicurezza, con una serietà che mette i brividi. La sua personalità non sta più sfrigolando, ma qualcosa continua a stridere. Sì, è di nuovo la sua frizzante superficialità che mi arriva addosso e mi offende. Ma come è possibile che uno nel 2019 possa permettersi di scrivere e pubblicare roba del genere? Ma con quale faccia? Con la faccia di Andrea Pezzi, per esempio, quella sorridente e falsissima e diabolica degli anni '90. Ma è questo il vero problema? No, figuriamoci. Non oso giudicare il senso che l'autore Pezzi ha inteso infondere in questo suo trattato. Non giudico le sue possibilità cognitive e la sua cultura critica e filosofica. Non voglio sfotterlo. Non credo neanche sia quel demone di superficialità che pensavo egli potesse essere. Il problema è nelle esigenze del pubblico. Perché un contemporaneo può scrivere un libro come Io sono? Non ha forse la filosofia accademica già saturato e completato ogni possibile discussione sul tema dell'identità e dell'esistenza? Il problema è che il pubblico non la sa. Il pubblico davvero vuole sare che cos'è un uomo. E il pubblico non ci pensa neanche di leggersi un Pascal, un Fichte, uno Hegel, un Camus. Il pubblico vuole cose fatte a pezzi. Pezzi più digeribili di verità. Ed ecco perché c'è bisogno di Andrea Pezzi. Giusto così.



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