Scrivere di pittura: Julian Barnes, Con un occhio aperto




Che bella la confusione di riferimenti, nelle risonanze inarticolate, le sovrabbondanze teoretiche e descrittive, le stronzissime iterazioni programmatiche e le ridondanze estetiche dei saggi sul bello e sull'educazione all'arte vera. Prendiamo Julian Barnes... Uno che non vi aspettavate e nemmeno io mi aspettavo. Prendendo in mano la sua pubblicazione speravo di poter trovare qualcosa in più rispetto a qualsiasi ossessivo e monotematico testo di critica artistica o dispersivo e saccente volume di storia dell'arte, questo sì... ma non mi aspettavo un trasporto così vivido e coinvolgente, una scrittura così schietta e capace di tormento ed esaltazione, precisione e conseguente volontaria approssimazione. Ovviamente un'opera con queste caratteristiche, il suo titolo italiano è Con un occhio aperto (l'editore è Einaudi), non è perfetta e sempre piacevole da leggere. Va su e giù. Si libera dai limiti dell'impostazione storica e poi ci ricade. Va oltre lo stupido romanticismo senza cedere alla fredda tentazione di asetticità e imperturbabilità scientifica e poi fa tutto il contrario, struggendosi nel cuore e nel fegato per un Degas. Ragiona di fondamento estetico e poi di gossip e dei vizi sessuali di tale autore. Qui e là Barnes ci mette troppa presunzione e pregiudizio postmoderno, e finisce spesso per parlare degli altri per parlare di sé, ovvero del suo gusto critico, delle sue conquiste intellettuali (e mica così ardite ed epiche). Alcune pagine sono sterili. Altre invece sono belle risolute ed efficaci. Quali? Quelle più confuse, quelle meno rigide dal punto di vista critico e stilistico.

Comunque ci sono poche cose da dire. Parliamo di una collezione di saggi sulla pittura. Qual è il punto? In Con un occhio aperto, la pittura diventa storia narrata, racconto frammentario di interpretazioni comuni, intuizioni felici, forzature e ridimensionamenti che non teme l'uso della categoria di genialità e della rivelazione di commozione. E fa un po' specie, pensando che l'autore di una simile cosa sia stato proprio Barnes: uno di quegli esteti inglesi assai pragmatici e ingessati ma con il vizietto dell'uscita brillante e della smitizzazione del mito, tipi di solito completamente inadatti a raccontare il bello, nella sua evoluzione che è cosciente decadenza. Di solito gli anglosassoni sono tendenti all'iperspecializzazione o alla semplificazione generalistica a scopo pedagogico. Guardano ai Fiamminghi e stop, oppure a Turner e stop. Oppure mettono tutto insieme: Rinascimento, Rococò, Impressionismo e Futurismo in base a una fessa ideaccia di corrispondenza che a loro pare furba. Sono fissati con l'irriverenza, gli inglesi. Barnes invece racconta in che modo la stessa arte lo abbia portato a rivalutare ciò che aveva interpretato come immondizia. Gli inglesi, se non si fosse capito, diciamolo apertamente, sono fortunati attori della contemporaneità. Nel passato oltre a Turner non hanno avuto un cazzo. Quindi possono creare a mente fresca. Inconscio pulito.


Bello leggere di Cézanne, Klee, Mirò, Degas, Magritte, Picasso e Lucian Freud, del loro modo di dipingere, di essere e sentirsi artisti, e poi finire in tutt'altro. Perché in questi saggi funziona proprio così. Si parla dei capelli biondi di una ballerina di Degas e si finisce a parlare di Prima Guerra Mondiale o di Nietzsche o di invidia sociale. E poi si passa ad altro, ma sempre tenendo al centro il peso o la leggerezza della biografia esistenziale e intellettuale del pittore analizzato. Vasari faceva lo stesso, no?

Così si dovrebbe scrivere di pittura. E se non è proprio questo il modo più funzionale e chiaro, diciamo allora che è rinfrescante leggere ogni tanto che scriva così di pittura.

E ora un pensiero che mi è venuto prepotente dopo aver letto questi bei pezzi... Gli artisti contemporanei fanno cacare perché sono in larga parte persone dall'ego smisurato o senza dignità e sensibilità che si permettono di proporsi come pittori o artisti nel Paese di Leonardo, Caravaggio eccetera? L'artista senegalese o cipriota è più libero mentalmente e culturalmente di quello italiano perché non ha alcun peso sulle spalle gettatogli a tradimento dalla tradizione passata? Cosa lasceremo ai posteri? Meglio alzare le mani e non produrre niente o lasciar fare a chi non capisce un cazzo ed è un cafone immane?

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