Un altro blog di letteratura, fantasmi, critica, stroncature e odio culturale

Me ne frega soprattutto, ma non sempre, dimostrare che me ne frega e non me ne frega




Cercavo recensioni su un romanzo che non mi è piaciuto. Volevo capire se magari mi era mancato qualche riferimento culturale o critico fondamentale per poterlo meglio interpretare e apprezzare. Ho trovato molta roba. Dovunque si parlava bene o benissimo del testo in questione. E però nessuno di questi pezzi (recensioni, interviste, segnalazioni) è riuscito ad aiutarmi. In quasi tutti i siti culturali italiani si va avanti ad autoreferenzialità e meccanismi di compiacimento reciproco. Dappertutto prosperano fantasmi di riferimenti non spiegati fino in fondo. Giudizi assoluti fondati su principi di autorità immotivati. Particelle di giudizio a cazzo che ti schizzano negli occhi. Dopotutto è pure giusto. Nessuno pretende chiarezza o illuminazione. E si sa bene che quello che possiamo ottenere da un giudizio critico è sempre qualcosa di evanescente. Come un fantasma, appunto. 

Per provare a discostarsi da questa linea, bisognerebbe trovare il coraggio di badare solo al sodo. Senza negare l'esistenza dei fantasmi e tutto il resto. Ma preoccuparsi solo dell'effetto che fanno, e non del loro valore ingiudicabile. Poi... Lasciare subito perdere ogni pretesa di corrispondenza in una scena o in un circolo o in un'estetica o che cazzo ne so. Evitare di rivolgersi a quei tipi che vogliono essere tipi da metafore e da astrazione, e che vogliono assolutamente fraintendere. 

Per fare altrimenti bisognerebbe dire le cose con più concretezza. Tornare a giudicare con l'accetta. Vuoi parlare di un romanzo? Ok... Ne parli, a gusto tuo, e poi però mi fai capire cosa hai capito e come lo hai valutato. Sì, si può leggere. No, fa schifo. Scrivere con un fine. Non per forza di utilità. 

Non so quali dovrebbero essere i parametri per parlare di letteratura. Riassunti e trame? Sì, perché no. Sono più utili di un giudizio di cui non si capisce niente. Un riassunto fatto bene si può tollerare, basta che si tenga lontano da derivazioni dogmatiche e ideologiche. Voto? Pure si può dare. Anzi, magari un numero dà un'idea molto più completa e sfruttabile di giudizio rispetto a mille parole.

Dico queste cose tanto per mettere le mani avanti. Perciò andate avanti solo se e solamente se credete davvero ai fantasmi, come fatto scientifico. Se e solamente se davvero riuscite a scorgere le particelle minime di una sostanza. E allora, sì. Iniziamo a ragionare. Prima questione. Siamo in un lit-blog? Può essere. Ancora non è detto. Seconda questione. Cosa c'entrano i fantasmi? Ve lo dico subito.

Voi ci credete ancora ai fantasmi? Vi piacerebbe crederci? Vorreste poter ricevere due numerilli da giocare al lotto, un'ispirazione, un segno di continuità? Vi capita mai, di notte, di sentirvi sfiorare da una mano invisibile? Se la risposta è sì, siete un po' ingenui, cari miei. Un po' troppo romantici. E questo non va bene. Però magari è colpa della vostra sensibilità. Siete un po' artisti. Siete degli spiriti gentili. Dei creativi... Siete anche in grado intendere la materia della realtà come unione di cellule, molecole, atomi, elettroni e roba del genere. Sapete trasporre questa visione nel linguaggio e nel pensiero. Sapete fare letteratura della triste realtà. Riuscite a capire che anche una storia è fatta di fantasmi e particelle. Così è, forse. Su questo fatto si potrebbe discutere. E sicuramente avete una vostra cavolo di opinione in merito. Siete anche pronti a confrontarvi. Ma non con noi, fateci il piacere. Qui diciamo, ma non rispondiamo.

Anche se non sembra, stiamo parlando di contenuti letterari e cultura. Di concetti e suggestioni. Di guarigione. E se vi interessa, accomodatevi pure. Ma ragionate in silenzio e non interrompeteci. E poi... Il plurale lo uso retoricamente. Sia chiaro.

Il pensiero critico è inutile. Ma dicono sia l'unico anticorpo che possa salvarci dal disastro culturale.

Siamo italiani [siamo un errore (un grandissimo errore, anche formale)... e dobbiamo scontarlo in qualche modo]. E come italiani, il pensiero critico non ci piace o non ci riesce bene. Ne siamo storicamente e socialmente sprovvisti. Mica è colpa nostra. Siamo quotidianamente sottoposti al peggio. Ci formiamo attraverso la più vile convenienza mediatica ed economica. Sopravviviamo e invidiamo. Ma senza odiare, perché è peccato, è faticoso, puerile, antipatico e un po' da estremisti. Al massimo malediciamo e spettegoliamo. Sorridiamo, sepolti da una montagna putrescente di immondizia artistica, avvinti a un passatismo idiota e a un'attualità intellettuale imposta dai soliti quattro vecchiacci e dai loro imitatori trentenni. La cultura italiana. Che roba è? Una recita, sempre più ottusa, demenziale e scimunita. Un disastro senza effetti. Pantomima di disastro. La cultura italiana, la letteratura italiana oggi: scarso intrattenimento culturale. Questo è.

Dicono che i libri servano ad allenare il senso critico e la libertà di pensiero. Ma purtroppo è falso. I libri distraggono. Annichiliscono. Abbrutiscono. Ribadiscono il pensiero dominante. Non ci rendono migliori. Se così fosse, i grandi editori, i direttori di collana, i giornalisti culturali dovrebbero essere degli illuminati. E invece sono quasi sempre tipi improponibili ma ben proposti. Di nuovo il pensiero dominante. E se non è dominante è un pensiero che vorrebbe esserlo ma che non può. I libri sono passatempi, scorciatoie, veicoli incidentati di confronto e conoscenza. Almeno in Italia è così. E perciò le recensioni dei libri non possono essere altro che robaccia. 

Nessuno sa più recensire. Le analisi sui nuovi libri non sono analisi. Parlano quasi sempre del contenuto, dell'idea più stronza ed evidente del contenuto. Al massimo si sbilanciano su una descrizione di tre parole sullo stile. Nessuno si permette più giudizi. Nessuno. Ma cosa si dovrebbe giudicare? Che libri vengono pubblicati qui dalle nostre parti? Con quali menti e quali argomenti ci troviamo a trattare? Robaccia impacchettata e distribuita da un mercato affamato e con il sangue agli occhi. L'elogio del borghese e delle idee liberal e nostalgiche del passato non liberal. In un mercato che sta crollando o già è crollato. Il disastro senza effetti ma con le pezze al culo. Lo dicono le cifre, mica me lo invento io: nel 2014 il settore editoriale italiano ha subito un calo di almeno cinque miliardi. Gli impiegati nel settore sono caduti di ventisei punti percentuali. Lo ha detto Mediobanca, monitorando gli otto grandi del mercato delle parole italiane: Rcs, Mondadori, Sole 24 Ore, Class, Caltagirone, L'Espresso, La Stampa e Monrif.

Il digitale cresce, ma non conta ancora un cazzo. I lettori diminuiscono e si buttano sulle cose più stupide: ricette, romanzetti d'amore, inchieste politiche, encicliche papali e libri giocattolo per bambini. I giovani disimparano a leggere e a scrivere. La loro attenzione abituata alle regole di internet riesce a focalizzarsi su un argomento per 12 secondi al massimo. Tra vent'anni nessuno leggerà più un romanzo, perché sarà troppo complicato. Ma che importa? Gli editori, forse, si preoccupano troppo. Giustamente vogliono vendere. Ma ai lettori cosa cambia? Si sta meglio così. Sul precipizio. Tra pochi intimi disperati.

Che importa leggere, scrivere, pensare?

Qui vi parleremo di letteratura. Di libri nuovi e libri vecchi. Rimandando sempre al modo in cui l'accrescimento di valore del capitale culturale si nutre di lavoro vivo. Parleremo di cose così. Senza leccare il culo a nessuno e senza estetizzare. Sì, sono un grezzo provocatore, e ho scritto culo. Dovevo. Vi sembra poco letterario? Non lo so. Forse, vi piace. Ve lo immaginate. Non defecare, puzzare e cose così. Come rappresentazione, doppia curva, oggetto sessuale. Estetica. Letteratura.

Cercheremo di fornirvi gli anticorpi di cui avete bisogno. E anche quelli di cui non avete bisogno. Un po' di veleno. Un po' di odio non odioso. Cercheremo di tenervi lontano dalle schifezze e di farvi espellere tutto il male: buon cagatore frega il dottore. Sempre a proposito di culo. Com'è cambiato il gusto per il culo negli ultimi anni. Ora piace il culone cellulitico. I tempi. I costumi. Da bagno. Ci vuole odio. Serve rabbia. E io ce l'ho.

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