Il male del fantasy


Negli ultimi tempi ho letto almeno cinque o sei interventi seri e scrupolosi a proposito della letteratura fantasy. Ci si chiede dove il genere stia andando a parare, se possiamo ancora considerarlo un filone d'evasione, quanto esso debba lasciarsi andare ai nuovi codici (morali, scientifici e sociali) della contemporaneità e altre cose senza troppa importanza. La polemichetta sul fantasy è un classico che c'appassiona molto. Un infinito scontro dialettico e politico tra la fazione dei difensori della fantasia e i paladini del rigore. Con gli amanti del fantasy che si buttano di qua o di là a seconda dell'impostazione critica di chi è bravo a dileggiare e screditare il genere che non conosce e non accetta per partito preso. Impossibile venirne fuori. Soprattutto perché l'amante del fantasy, fondamentalmente, sia come lettore che come autore, se ne fotte del riconoscimento culturale da parte della critica ufficiale. Egli, come una bestia, come un puro, vuole tenersene lontano perché ne è spaventato. Anche questo è un moto d'indipendenza. Ma è anche una rivolta che, in qualche modo, disturba e offende moltissimo gli avversari, cioè i letterati laureati, i critici, i professori di narratologia, coloro che disprezzano o debbono disprezzare il fantasy e che, ogni tanto, quando il vento soffia nella giusta direzione, vorrebbero anche cambiarlo. C'è chi, subdolamente o perversamente, prova a interessarsi al fenomeno, a ricercare elementi di nobiltà storica, stilistica e filologica dove non c'è altro che puro racconto fine a se stesso e ai propri automatismi di difesa. C'è chi, fingendosi un alleato dei bifolchi in rivolta, si permette di dettare linee estetiche e morali, poi totalmente ignorate dai destinatari.

L'autore-tipo di fantasy è un ignorantone. Uno che vive con piacere nell'underground, o meglio nelle fogne dell'editoria, un indipendente senza nessuna coscienza di indipendenza. Il più delle volte diventa autore senza mai aver letto un libro. Si autopubblica. Circola nei canali del sottobosco. Disegna mappe di mondi inesistenti. Nasce nell'ombra e muore nell'ombra. Oppure fa successo, perché trova la chiave giusta. Ma pur vendendo milioni di copie, è un emarginato. E va avanti per la propria strada, quasi sempre la stessa, tirandosi dietro le solite occhiatacce, il disprezzo e un po' di pietà da parte di colleghi e addetti ai lavori. Dai tempi dell'Ariosto esiste un conflitto tra i dottori in lettere e gli amatori di storie di fantasia e mitologia, e questa lotta si rinnova ogni cinque sei anni. Ed è anche per questo che i libri fantasy continuano ad avere un po' di senso e molto successo. La stessa storia penetra il presente. Trasformandosi in dark fantasy, urban fantasy, fantasy erotico, fantasy escatologico, fantasy postmoderno.

Il fantasy si nutre di tutti quei grandi e futilissimi temi che appassionano i critici e il pubblico, ma indirettamente. Senza coscienza e senza studio. Nel fantasy, la storia fuori dalla storia diventa un assoluto. Ed è questo il punto, è qui che si consuma il senso dello scandalo. Perché fantasia e creatività senza arte, senza profondità estetica, si alimentano come mostri e si muovono come affronti per l'intelligenza. L'edotto che aveva intuito qualcosa di buono nel genere allora si nasconde, per evitare l'attacco della banalità, l'invasione dei gretti istinti  narrativi. Si avvilisce e arretra. E lascia il campo libero. Ai barbari che pisciano contro le fondamenta dello spirito e della cultura. Ai devastatori che imperano e pontificano senza rendersene conto. Agli immaturi che, alla fine, vincono sempre.

Difficilmente l'intellettuale riesce oggi a immaginare un discorso, una scienza, una narrazione, che sappia astrarre dal tempo. Il fantasy lo fa. Ma senza provocazione né direzione poetica. Non è avanguardia né reazione. Il fantastico soggettivo domina sul senso e sulla volontà di comprendere e si ricollega a questioni ancestrali, sottoculturali, su l'uomo contemporaneo non smette di riflettere senza arrivare mai a una soluzione. Ed è così che l'assurdo, l'impossibile, il campato in aria, diventa oggettività. Alternativa. Progetto eterno di realizzazione irrealizzata. Verità che sfiora la pura verità, proprio perché se ne distanzia completamente.

Nei romanzi fantasy il tempo non è nascosto, né sminuzzato in tanti piccoli frammenti artificiosamente omogenei. Non è neppure usato come unità di misura o coerenza. Il corso della storia nella narrazione fantasy sa essere dilatato e reversibile, come una sostanza sospesa che vive in tutti i fenomeni e i personaggi senza diventare un fatto o un problema. Il perpetuo mutamento diventa continuità e viceversa. Non conta il resto. Trame e intrecci ripropongono quasi sempre le solite scemenze con splendida e pigra creatività. E non potrebbe essere altrimenti. Perché senza quelle scemenze non si è più nel fantasy. I padri nobili del genere lo sapevano e non si spaventavano (John R.R. Tolkien se la rideva addirittura e prima di lui Collodi, un altro gigante poco considerato del genere, si liberava da se stesso, dalla propria moralità, proprio attraverso lo sfogo fantastico). Dopo decenni abbiamo ammesso nelle stanze letterarie e in libreria quel maestro chiamato Robert E. Howard. Ma quanta fatica, e quanto penare! I nuovi interpreti, invece, sarebbero solo degli stupidi, dei folli, degli inconsapevoli. Gente da tenere lontano, in tutti modi. Plebei dello spirito che osano scrivere intere sage, progettare universi e far fiorire genealogie sul nulla. Uno sforzo immane e, cosa orribile, senza pretese! Senza consapevolezza inventiva! Possono mai essere tollerati costoro? E poi arrivano anche gli altri, i peggiori, quelli che mirano più in alto e inventano qualcosa di nuovo, di rivelante. Gli eroi, tracotanti ed empi. I mostri, che vendono milioni di copie. Volgari troll, sporchi, analfabeti e idioti, con velleità da conquistatori. Come si permettono a voler modificare il senso e le possibilità di un filone perfettamente strutturato e funzionale, che cambia, se cambia, assecondando movimenti impercettibili e millenari? Ma tutto è permesso nel fantasy. Eccolo qua il problema logico.

Che ci si infili dentro magia, occultismo, politica, orrore, guerra, eros, ecologismo, pedagogia, critica sociale o misticismo (l'imponderabile), il risultato non cambia né può cambiare. Ma i fessi insistono a richiedere un'evoluzione del genere. Cambiate questa cazzo di storia sempre uguale del viaggio favolistico e dello scontro tra eserciti! Dimenticate la mitologia norrena! Così gridano i grandi critici. Ma sprecano solo fiato. La critica del buon gusto, dell'originalità e del buon senso seduce solo gli spiriti vanitosi e stupidi. Un approccio tanto supponente e intollerante non può portare lontano. Perché il fantasy non ha futuro. E non può evolversi. Si pone fuori dal tempo, dal senso, dal gusto e dall'universo del noto. E se si muove da lì, cioè da quello spazio fuori dallo spazio e del tempo, è finito.

Il male del fantasy non è nel fantasy. I suoi nemici non sono i numerosissimi scrittori scarsi che interpretano malamente e squallidamente il genere abbrutendolo e banalizzandolo. I veri nemici sono quei pochi scrittori che non hanno alcun legame spirituale con il genere ma che vogliono accostarsi ad esso per nobilitarlo o sperimentare nuove forme di espressività senza aver compreso che non c'è mai realizzazione dell'impossibile nella consapevolezza soggettiva. I veri avversari sono i civilizzatori che corrompono un sistema puro di barbarie! Giù le mani dal fantasy, uomini contemporanei e uomini storici.

Il fantasy è ignorante libertà. 

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