Michael Chabon, il lamento e i ricordi di chi sogna la luna


Più di cinquecento pagine. Tanto è lungo Moonglof, che in italiano diventa Sognando la luna, di Michael Chabon, autore di rilievo, da cui aspettarsi tanto. Il tanto che è appunto quantificabile anche nelle cinquecento pagine. Un tanto che è anche un quanto per un quale, cioè qualità. Mi seguite? C'è l'high profile nel low style. C'è l'a un certo punto che ricerchi e che arriva, non esattamente puntuale ma in tempo utile e con la dovuta convenienza. C'è il sentimento che potrebbe essere preso per il verso storto e giudicato come squallido opportunismo emotivo. Ci sono dedizione, devozione e fedeltà per il racconto. Di una storia che potrebbe essere vera (quella del nonno di Chabon), per com'è costruita, ricostruita e presentata, per quanto è difficile da sintetizzare, per le parentele con l'irrealizzabile realismo americano, con la moda atroce del memoir, con l'equanime pietas che ci spinge a volere bene ai morti e a credere alle loro storie. Ancora una riflessione sull'autenticità. Sul racconto che è sempre menzogna. Si spera bella. Dicono: Chabon è subito dietro Roth. Ed è vero.

Nel mentre delle riflessioni indirette ci cadono addosso le solite metafore medie da romanticismo anglosassone e flashback fulmitati che si fingono plot, scene e scenette pure, vignette, che ci mostrano la vita drammatica ed eroica del nonno di Chabon. Un ingegnere. Uno che sogna la luna, che si fissa sulle stronzate astronomiche che hanno entusiasmato due o tre generazioni da dimenticare. E che si fa largo tra traumi, amici stronzi, parenti ancora più stronzi, una donna forse pazza, forse troppo lucida. Che sopravvive alla seconda guerra mondiale. Che nasconde il suo entusiasmo in una vita apparentemente calma e quieta. Tante cose, ma che non riempiono certo cinquento e più pagine. Allora sotto con il solito largo spazio da dedicare alle lamentazioni. Siamo in epoca di lamentazioni. E bisogna sapersi lamentare bene. Come fanno i neonati, le iene, i cani bastonati e affamati, i corvi. Lamenti complicati. Come per... avete capito chi. Bisogna sognare la luna. La cosa che sognano tutti. Un sogno (fiction) in una consuetudine (non-fiction). Ma attenti, Chabon nell'edizione americana ha aggiunto un sottotitolo al libro: A novel. Sempre per il discorso che è utile confondere le acque, per tendere all'allontanarsi dal senso di quell'a un certo punto. Spingerlo verso una prospettiva lontana, dove tutti i fessi miopi possono poi immaginare quello che vogliono. Una verità qualsiasi. Un rispecchiamento. E visto che i fessi sono in migliaia, Chabon sarà finalmente letto da migliaia di persone anche in Italia. Quanto scommettiamo?

Di base è un romanzetto. Scritto benino ma senza forza, né sincerità. Lo so, leggere Chabon vi fa sentire speciali, sensibili e fuori dal coro. Vi piace anche la copertina dell'edizione italiana (Rizzoli): che bei colori, che bel concept... è copiato, dalla copertina americana; è una puerile evoluzione di senso. Come deve essere. Tradurre è rubare: bisognerebbe tradurre tutto dall'originale. Tutto il possibile. Pure la cover. Sempre. E Chabon avrebbe dovuto copiare da se stesso, dai suoi primi libri, che sono più belli, più duri, più vivi.


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