Prima di cadere nel trap: il tempo e lo stile di Noah Hawley


Noah Hawley è il creatore e il produttore di Fargo, la serie che voi tutti avete visto e apprezzato o avete finto di aver visto e aver apprezzato. È anche l'auotore di un romanzo, un bel romanzo di successo, che si chiama Prima di cadere, edito in Italia da Einaudi. In verità Noah scrive da un sacco di tempo e questo sarebbe il suo quinto romanzo, ma fino a qui nessuno se lo era cagato e chi sa come mai. E cagando per cagando, ne parliamo per due ragioni. Il tempo e lo stile. Due ragioni ragionevoli. Due gabbie per gabbie.

Il tempo di Prima di cadere è un continuo ronzio modulato contemporaneo, trap (il trap, no la trap; così come si dice il rap e no la rap). Accenti ritmici fissi in primo piano, serrati e cafoni, lucidati in via digitale, come una pioggia depurata di schiaffi che ha senso solo se non la interrompi con pause non richieste. Deve esserci anche un rumore di fondo, un po' arcano, quasi intellettuale. E certo che c'è. Che altro? Le voci in autotune, un po' ridicole, un po' necessarie. Ma non come le ha interpretate il mainstream. Qui sono ancora libere dal paradosso della pacificazione. Perché si punta alla perfezione. E la ricerca della perfezione è sempre un meraviglioso macello. Perché siamo alle porte del paradiso autoattivo. La trama fila veloce, supera in curva i secondi che inciampano sulle parti basse dell'orologio. È il tempo del thriller, dei duecentomila spregevolissimi particolari mugulanti e di disarmante improntitudine. Un tempo che sa uccidere senza sporcare tutto, che occultura come si deve il cadavere dell'analisi esistenziale. Tempi assassini, il contrario di tempi morti.

Lo stile è da reportage dell'apparenza e della rimozione, un'operazione condotta con bisturi di metallo splendente, a pancia all'aria, ma nel lato opposto, dietro lo specchio del falso e tendenzioso con in mano un foglio pieno di bellissime notizie false e tendenziose. True fake old news. Così deve essere. Con personaggi che fanno, mentono, sgommano, sgamano, smagano, sguazzando, soffiano e vivono nel glamour, nei complotti, nel fallimento, nel rimorso e nella cattiveria, sotto disastri aerei di cui giustamente approfittano, in tutti i modi possibili, senza dialoghi introspettivi, profondità di coscienza e ombre di contemplazione. Thriller. Trap. Ma senza droghe improvvisate o rubate al gatto iperattivo. Bisona trappare. Essere nel tempo, con stile. Essere nel 2017. Pure se ignorarate che roba possa essere il trap e non avete mai sentito parlare di drill, trill, autotune e il resto. Voi fate finta di sì, come sempre. Perché è tutto ormai post-televisivo. Basta con-fidare. Come quando guardate la televisione fingendo di informarvi, di stare al cinema, di interagire, di partecipare. Sì, è tutto fuori dal passato. Qualche decimale dopo il quinto potere e il sesto senso. Vedete? Proprio quel momento lì: prima di cadere. Ma senza humour, senza suggerimenti di critica. Qui la narrazione è densa ed essenziale. Pura. Noah Hawley è spesso quanto una fotografia. Aggiungeteci i filtri che vi piacciono. Non stoneranno. E fate pure finta che non esistano più le serie TV. Fate finta che sia tutto letteratura. Solo racconto. Parole, verbi, aggettivi. Hawley non vi deluderà, perché il suo thriller ha pure il finale che non vi aspettate, o che vi aspettavate senza quel senso, con un'altra inquadratura, senza fratelli Coen. Voglio dire, senza l'ombra di quei nocivi individui e della loro corte di morbose e putrescenti idee di illuminazione estetica.

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