I dieci libri più il cesso di Camilleri




Spesso l'intelligenza e l'ironia sono destinate ad allontanarsi l'una dall'altra proprio nella misura in cui cercano di essere avvicinate a forza. Intelligente Camilleri lo sembrava. Ironico anche, in un suo peculiare e antipatico modo, per meglio dire attempato e prudente per interesse, quindi fiacco. Annoiava e scivolava nel brutto ogni volta che tentava di mostrarsi intelligente attraverso l'ironia o ironico tramite l'intelligenza. Andava molto meglio e creava cose di valore quando invece si limitava attraverso il mestiere e puntava tutto, spudoratamente, al fine del prodotto.

Lo scrittore Camilleri può essere oggi giudicato come maestro artigiano, voce rispettabile ma non letterariamente irreprensibile, e colpevole di tante rotture di coglioni. Un fabbro di frasi fatte, su cui mormorare giudizi sfatti. Dicono che abbia lasciato un grande vuoto nella letteratura italiana... Ma che esagerazione! Il vuoto, se è davvero vuoto, è mediatico, quindi agevolmente attraversabile. Camilleri ha generato cento imitatori, di cui il cinquanta per cento può dirsi già al suo livello. Ché emularlo, senza sembrarne figliastri, non è poi tanto complicato. Scrisse tanto, il maestro, su Montalbano e su altre cose simili o imparentate. Abusò della propria e della nostra pazienza. E abuserà: arriveranno in libreria tantissimi altri romanzi e saggi, novità postume, preparate da Camilleri prima della fine o da preparare in questi giorni dai suoi collaboratori.

Mi sono avvicinato ai romanzi su Montalbano con un mucchio di pregiudizi. In venticinque anni di vita (del personaggio letterario) sono venuti a galla quarantasei libri. Un'invasione. Ma non bisogna leggerli tutti, si dice spesso. Il personaggio evolve senza evolvere. I suoi mutamenti fondamentali riguardano fatti di corna e altri batticuori, ma dal punto di vista morale ed esistenziale, il commissario resta uguale a se stesso dal primo all'ultimo romanzo. Insomma, si può partire da un romanzo del 2013 e seguire con un 2002 e poi tornare al 2017. Non invecchia, Montalbano. Stando ad alcuni riferimenti colti in lettura, dovrebbe avere ora settant'anni, ma si comporta e si atteggia ancora a quarantenne. Procedere senza metodo è possibile ma rischioso. Non tutti i Montalbano possono essere catalogati come lavori decenti. Alcuni sembrano scritti con una pietosa vocazione melodrammatica, altri sono frettolosi e strutturati su dei temi abbastanza banali, goffamente shocking. Si cade e si ricade nell'ovvio, nel facile. Camilleri ha sfruttato senza alcun ritegno quelle due otre intuizioni felici per almeno duecento volte. Il che è anche meritorio, da un certo punto di vista. Era amalbilmente dozzinale, il vecchio: aveva capito tutto.
Poi ci sono i testi impudenti, quelli dove la sottigliezza di alcuni capitoli si oppone alla trascuratezza dei finali. E oltre Montalbano, il Camilleri è stato responsabile di altri romanzi (pseudostorici) e mezzi saggi didascalici, artificiosi, con tanti errori di metodo, scolastici, impuri, poco chiari e centrati, modesti e indipidi. Un sacco di robaccia.

Ci vorrebbe una guida. Un elenco di titoli da evitare. A mio parere ci sono dieci libri di Camilleri che sono proprio il cesso, e che andrebbero cancellati dal catalogo. Eccoli.

1) Gli arancini di Montalbano. Qui Camilleri esagera con i toni della commedia e del thrilling. L'opera non ha equilibrio e scade spesso nel cattivo gusto. Potrebbe essere definita come la summa dei motivi più inflazionati e beceri della serie. Contenuto scontato.

2) Ora dimmi di te. Una specie di autobiografia di commiato, svergognata. Un dialogo con la gioventù. Trascurabile e retorico, pieno di odiose considerazioni qualunquiste sulla prima, la seconda e la terza repubblica. Prima stavamo peggio, erano tutti corrotti e delinquenti, ma c'era più nobilità... L'espediente narrativo è quello di un colloquio con la nipotina in età prescolare. Nonno Camilleri alza le mani, afferma di non avere niente da insegnarle, e subito dopo comincia a pontificare. Autocelebrativo dall'inizio alla fine, con qualche inserimento di episodi di fallimento, giusto per creare maggiore vicinanza e demistificare il racconto.

3) Noli me tangere. Nella pasta della prosa c'è troppo burro d'amore. Amore vecchio, con le piaghe da decubito. L'amore forse non amore tra uno scrittore famoso e una talentuosa e tormentata autrice teatrale. Lei all'improvviso scompare. La trama che procede quasi esclusivamente attraverso i dialoghi. I personaggi sono noiosissimi. L'intrigo è pessimo.

4) Covo di vipere. L'episodio più noir per Montalbano. Troppo noir, e anche un po' misteriosofico: sbilanciato. E poi il finale... il commissario risolve tutto con il solito inverosimile espediente, il colpo di culo poi spacciato per colpo di genio.

5) I racconti di Nené. Qui il maestro si gioca la carta dell'intimità. Si confessa. Parla di Sicilia (con un colmo di luoghi comunissimi e abusivissimi), Sciascia, Pirandello, Eduardo De Filippo, Samuel Beckett. Assai noioso. Il carattere che vorrebbe apparire amabile e curioso risulta odioso e palloso.

6) Donne. Raccontini su femmine famosissime, amate o conosciute dal maestro. Muse, personaggi letterari, eroine. Tutto scontatissimo. Parole dolci e contraddittorie. Per i caratteri sensuali si mette in luce la loro forza, per quelli più tosti si cerca di narrare la fragilità, la femminilità. Una ruffianata.

7) Un filo di fumo. Stilisticamente è uno dei Camilleri più equilibrati che ho sfogliato. C'è poca maniera. E questo perché si tratta di un libro vecchio, se non sbaglio il suo secondo romanzo. Ma la storia è breve e farsesca. Da qui inizia la sistemazione allegorica e poco profonda di una Sicilia sputtanante e sputtanata. Cento situazioni patetiche consuete, falsamente peculiari.

8) L'odore della notte. Troppi personaggi-macchietta. Troppi dramma. Troppo lento l'incipit. Troppo cruento il finale. Un pasticciaccio senza genialità gaddiana. Qui Camilleri già comincia ad autoricilarsi senza ritegno.

9) Il tuttomio. La copertina è da pervertiti. E ci piace. Le pagine scritte sono piatte, con dettagli troppo fragili. La logica dell'indagine è poverissima e presuntuosa. Scritto senza gioia.

10) La moneta di Akragas. Giallo antico. Primonovecentesco. Con rimandi alla storia ancora più antica, quella cartaginese. Altra commistione senza equilibrio tra comico e tragico. Scritto scarsamente estroso, un'aspra farsa, sensa intensità, con poche, mediocri bizzarrie e suggestioni di ilarità.



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