I libri più brutti del 2019, e poi pure i libri più belli...





Alle prese con una sfiancante influenza e in procinto di affrontare un noiosissimo Natale, sono qui per rivelarvi i libri che ho più amato e quelli che ho più odiato nel 2019. Per quel che riguarda lo stile di questo blog, partirò di nuovo uggiolando dal peggio e dallo schifo, ovvero dalle cinque o sei o sette pubblicazioni più brutte dell’anno.

Detto tra voi e me, Andres Numan con Frattura ci ha fracassato ciò che rimaneva della nostra indulgenza verso la narrativa sentimentàl-storica. Quando l’irrazionalismo sudamericano si contamina con il gusto epico e moralista statunitense succede questo: che anche un giovane autore di talento diventa in due pagine vecchio, disprezzabile e palloso.

Non mi è piaciuto nemmeno un po’ Il regno dei fossili di Davide Orecchio (uscito per Il Saggiatore), che sembra una summa di tutti i nuovi, tremendi cliché del romanzo deforme, iperspecialistico e infine distopico all’italiana. Una cosa arrogante e soporifera.

Quanto poi ho detestato Donato Carrisi… ma che lo dico a fare? Si sapeva, e lo sapevo. Non lo so perché l’ho letto, un libro del genere (La casa delle voci), dato che il genere mi fa orrore e dall’autore (di genere) non potevo far altro che aspettarmi un thriller già televisivo, zelante, fisso, fatale, mai rilevante, proprio così come l’ho trovato. Ma Carrisi va bene per dimostrare che siamo aperti anche alla letteratura pop, che la schifiamo e condanniamo senza pregiudizi di partenza. Proviamo a definirlo, allora: solito, rumorosamente scialbo, agitatamente mediocre, andante, insipido, pedestre. 

Ho trovato sommamente detestabile Bianco, il saggio per nulla saggio di Bret Easton Ellis nel quale lo scrittore s’è prevedibilmente e inutilmente schierato contro l’apologetica della dipendenza digitale, prendendo (come è d’obbligo per un vero rivoluzionario che vuole dare l’impressione di aver superato ogni pregiudizio culturale) il partito del vecchio oligarca che non vorrebbe più concedere libertà d’espressione al volgo. Però l’Ellis mica ha il coraggio di dire che il volgo gli fa schifo, no… lui deve spiegare, con esempi smart, che il volgo è stato contaminato dai famosi e dalla malvagia nuova forma del pensiero liberale, con gli influencer e i vecchi famosi che si riciclanoquali  influencer per far rimbambire un’intera generazione con tweet, ostentazioni di ricchezza, emancipazione sessuale, felice ignoranza, condivisioni inutili e potere mediatico. Cioè, non c'è pensiero nella ragione che vuole capovolgersi in ingenuità per criticare la nuova ragione assoluta conquistata dai nemici. 



Tornado a parlare di volgarità del pedestre, tremendo dall’inizio alla fine è Il colibrì di Sandro Veronesi. Davvero un mistero il fatto che la gente si metta là a criticare Fabio Volo, a dirgliene di tutti i colori, e poi non spenda nemmeno una cattiveria per Veronesi, con il suo libretto melmoso, tutto sorretto (sospeso in volo) su questa continua metafora che richiama ovviamente la precarietà dell’esistenza contemporanea, il tempo liquido dell’esserci, dove poi alla fine – grande e commovente sorpresa – arriva questa bambina che ridà forza e senso al protagonista e gli ricorda che la vita è una lotta (la dannata resilienza, che è richiamata pure nella quarta di copertina) che vale sempre la pena di essere vissuta. Altro che volare come un colibrì, qui si resta schiacciati a morte dalla gravità della banalità. Banalità candidabile allo Strega, ovviamente. Stiamo più o meno agli infimi livelli di In tutto c’è stata bellezza di Manuel Vilas, un altro libro da evitare come la peste, con le sue falsissime e scontatissime verità universali, con il suo piatto tentativo di suonare crudo e autentico. Chi me lo ha fatto fare di leggerlo? Non lo so: c'è chi ha un istinto buono, e va al Papete a divertirsi e a farsi potente, e chi ha un istinto negativo, e sta in casa a offendersi con letture volgari, dozzinali e ipocrite. 



Quasi dimenticavo... Il saggio di Giovanni Raboni Meglio star zitti? (Mondadori) è una cosa di rara bruttezza e di un’inutilità devastante: sarebbero tutte le sue stroncature da critico raccolte in un mega volume celebrativo… ma il problema è che Raboni (il poeta! Il grande critico letterario! Il maestro!) è l'esempio perfetto del letterato da consorteria elitaria, uno che stronca i potenti a lui accessibili con un tono fine e amabilmente satirico, con astio più garbato, e quando passa ai figli di nessuno o a quelli che non se lo cagano manco di striscio diventa acido e reattivo in un modo ridicolo, fino alla violenza. Il cesso è pure Serotonina di Michel Houllebecq, una delusione, come ho già avuto modo di spiegare in un post di questo blog. Un bluff.

Visto che va di moda, darò spazio anche ai (non alle, vaffanculo) graphic novel, citando tra i peggiori P, la mia adolescenza trans di Fumettibrutti, che dopo quella schifezza ingiustificatamente osannata di Romanzo esplicito è uscita con un’altra robetta dal disegno opportunisticamente dozzinale e il contenuto sfrontatello, tutto giocato sull’elemento di caratterizzazione di genere, che di per sé non significa nulla e non giustifica il racconto, la poetica, la necessità e il tono dell’opera. Sarebbe potuta andare anche peggio, ma Fumettibrutti ha almeno il buon gusto di non buttarla sul patetico e sul drammatico (oh! quant’è difficile la transizione!). E stop.



PASSIAMO AD ALTRO, che è meglio.

Tra i libri belli... al primo posto metto Francesco Pecoraro con Lo Stradone (Ponte delle Grazie). E sta lì, sopra chiunque altro, perché Pecoraro sa scrivere, ha una sua voce, ha un suo universo da raccontare (Roma contaminata e devastata e involgarita e depressa, Roma ancora viva). Si tratta di uno di quegli autori che la gente cita anche se non ha letto (i suoi libri precedenti erano belli e difficili, anche noiosi e respingenti in certi casi). Ma, cari miei, Lo Stradone dovete leggerlo per forza, perché parla proprio di cosa stiamo subendo, diventando, senza capire, ed è divertente e tragico e lirico… intelligente, odioso in modo giusto.

Altro ottimo libro di narrativa quest’anno è stato Il sussurro del mondo di Richard Powers. E grazie al cazzo, diranno i più sagaci. Infatti Powers è il premio Pulizer del 2019. E giustamente, aggiungo io. Di solito non sapevo manco chi erano i vincitori del Pulizer, e se lo sapevo non ero d’accordo con la loro proclamazione. Qui invece abbiamo a che fare con un libro potente e pieno. Un grande romanzo. Tra gli italiani giovani mi è piaciuto un libro edito da Chiarelettere: L’invenzione degli animali di Paolo Zardi, un romanzo con una sua prosa coinvolgente e contagiosa, e con una trama che sa di vero, o comunque di fiction vivida. Una cosa che ha senso di essere raccontata, scritta con gusto simil-gaddiano. Poi c’è Cagliosa di Giuseppe Franza, dove l’autore rinnova il dialetto napoletano per ibridarlo con l’italiano standard, e mette insieme una tragica epopea calcistica di falliti, delinquenti e imbroglioni. Credetemi, sempre tra voi e me, è roba affascinante e ben montata, una storia che cuoce e ribolle senza mai sembrare scotta.

C'è poi del bello anche una scrittura musicale. Sto pensando a una specie di biografia: Tom Zé. L’ultimo tropicalista di Pietro Scaramuzzo (su Add editore)… istruttivo e ben sviluppato, che parla di cose coinvolgenti. Giusto, in attesa della pubblicazione di Verità tropicale di Caetano Veloso. Ancora? Mi è piaciuto moltissimo La versione della cameriera di Daniel Woodrell, un grande libro pubblicato da NN editore, che si legge con piacere e commozione e divertimento, ed è scritto con talento insieme a una grande efficienza… con un vero e proprio sapore di cloro e candeggina, sia pure astrattamente percepito, che è un miracolo.

Per i graphic belli segnalo Cheese di Zuzu (Cocorino Press), che mi ha dato tante cose, anche vertigini di senso, e poi Heimat di Nora Krug (Einaudi), pure questo da serbare.

Poi ci metto pure un libro di poesia (sempre tra le cose buone): L’occhio del monaco di Cees Nooteboom. Lo confesso: ogni tanto leggo poesie. Ci vediamo nel Venti. I rugginosi anni Venti.



Commenti