La Cagliosa di Giuseppe Franza





Premessa. I romanzi su Napoli o ambientati a Napoli mi sono sempre stati un po' antipatici. Colpa del soggetto: Napoli. Ma immagino che l'essere casertano, vivere cioè non troppo vicino e neanche troppo lontano dal capoluogo di regione, mi conceda tutte le ragioni che voglio atte a giustificare un tale preconcetto. Il problema, se vi interessa, è che i romanzi napoletani non riescono quasi mai a staccarsi da quel penoso e falsificato colore locale pseudofolcloristico, dalla peculiarità contraddittoria e presuntuosa del sentimento violento e campanilistico, e quindi della violenza sentimentale tipica partenopea. La presenza di Napoli guasta fatalmente e già in partenza qualsiasi romanzo napoletano. Anche quando la si denuncia, lo si fa con acritico e interessato amore. Lo stereotipo è immanente, e quanto più l'autore cerca di aggirarlo, allontanarsene, tanto più l'effetto appare determinato da esso.

In Cagliosa di Giuseppe Franza, romanzo uscito dal catalogo di Ortica, Napoli c'è dall'inizio alla fine, in ogni frase, in ogni scena, ma non è una Napoli voluta bene o male, giustificata o innalzata a fondamento caratterizzante, è quello che è, quello che sa offrire o togliere. Si ha l'impressione che l'autore tratti la città, con tutta la sua intensa pienezza di significati, da mero sfondo, quindi con singolare intelligenza. Innanzitutto il panorama non è quello solito, qui siamo in periferia, tra palazzoni, superstrade, edifici costruiti dopo il terremoto del 1980. E all'interno di questi luoghi predominano personaggi vari dalle storie fragili però significative, persone buone e cattive, stupide e demoniache, vittime, carnefici e indifferenti.

Il tema narrativo è molto pop. Si racconta un campionato di calcio di una squadra dilettante composta da personaggi poco raccomandabili e non troppo attenti alla questione della sportività. Ogni partita è una battaglia. Calci, pugni, sputi in faccia. Il protagonista della storia è l'attaccante della squadra, che con la sua indecisione resta sempre in bilico tra il voler essere presente e il voler fuggire. Questo Faust squinternato e delinquentello. La prosa è singolare e colorita, parlata nel modo in cui si parla oggi a Napoli, cioè un dialetto italianizzato. E proprio nella lingua sta il valore principale del libro. Le parole scelte rendono sensibile e crudo ogni passaggio, anche quelli più riflessivi o tecnici. La lettura è densa ma al tempo stesso facile, gustosa. Romanzo estrinsecamente oscuro, scostumato, ma intimamente molto limpido. In più ci sono molte scene divertenti, che prendono in giro il calcio, i tifosi e coloro che continuano a cercare di intellettualizzare questo sport che altro non è che brutalità.

La copertina di Cagliosa di Giuseppe Franza (Ortica editrice, 2019)


Per concludere e ricollegarmi alla premessa iniziale. Debbo confessare il mio cattivo rapporto con il prototipo letterario di Napoli e l'idea platonica di napoletano è in parte aprioristico. M'innervosisco quando mi allontano dalla mia città e, parlando con qualcuno, provano ogni volta a ridurmi all'odiosa identità di "napoletano" furbetto e sfaticato, cafoncello e simpaticone che il resto del mondo ha bisogno di conservare. Sei napoletano? E hai voglia a spiegare che io sono di Caserta e che con Napoli non ho niente da spartire. Sì, ovvio, in certi casi mi comporto da furbetto e riconosco di essere un poco sfaticato, ma ciò non fa di me un napoletano. E poi non sono cafone a quei livelli. Vengo su da un'altra radice culturale, ben distinta. Detto questo, evito di leggere romanzi ambientati a Napoli, perché non ne posso più di bambine già donne provate dalla vita nei quartieri, disoccupati disperati che scappano troppo tardi dalla loro condanna, guappi tormentati, narcotrafficanti di tredici anni, giovani laureati in ingegneria nucleare che vanno a fare i lavapiatti, i ragazzini che vanno in quattro sul motorino senza casco, i cantanti neomelodici dagli istinti nobili e pescivendoli poeti che guardano il mare e si commuovono.

Napoli produce da decenni falsificazioni di prodotti in voga, e per contrappasso Napoli viene costantemente falsificata dai suoi cantori. Prima c'erano la Napoli morta di fame e nobilmente pezzente e la Napoli deturpata e non bagnata dal mare, poi sono arrivate la Napoli melodrammatica, la Napoli ridotta a favela brasiliana, la Napoli da cartolina retrò di De Giovanni, la Napoli secondiglianizzata e gomorrizzata e senza sole e la Napoli misteriosa. Gli ultimi anni sono quelli della Napoli geniale. E tutte queste Napoli, nessuna esclusa, sono finte e distanti dal vero, come copie troppo grossolane o, al contrario, troppo preziose e lavorate per poter replicare il necessario. Cagliosa, invece, è un romanzo più onesto e valido. E nonostante Napoli mi è piaciuto.




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