Spatriati che fa rima con Desiati



Mariuccio Desiati parla del Sud e dei pregiudizi del Sud. Di sesso e di amicizia. Di fughe e di sensi di colpa. Parla scrivendo, con mestiere. E quindi non dice né racconta: ci educa al proprio punto di vista. Si tiene sospeso tra le opposte derive, si lascia trascinare e poi torna a fluttuare nella spiegazione del meritevole e del letterario. Con mestiere, ribadisco. Che è un complimento. 

Questo suo nuovo romanzo lo giudico come un romanzo racconta-tutto-e-niente, oppure come un romanzo dice-molto-e-zero. S'intitola Spatriati ed è edito da Einaudi. Con l'accento storto sulla u. I temi così così da cui parte la narrazione potrebbero pure svilupparsi in qualcosa di buona. Ma non lo fanno. Desiati ripiglia un po' di quello che aveva già pigliato e impastato nei romanzi precedenti, con quell'accenno di disincantato impegno che è la direzione giusta, specie per chi sa dove poi tirerà il vento o sarebbe giusto che tiri. Con la e ribaltata trattenuta solo per clemenza e affezione alla scuola letteraria di metà Novecento. Con lo sguardo languido che tollera e pretende di essere tollerato mentre ammicca e cerca di provocare. Ma non provoca, fidatevi.

A quaranta e passa anni, Mario Desiati viene presentato come un giovane autore. L'aria fresca. Ma giovane e fresco non è per niente il suo romanzo, in cui soffia aria viziata e poi condizionata di uno scenario impolverato e di una prospettiva di ampiezza fasulla, chimica, odontoiatrica. Un letterato, sì, che si impone di rompere senza lasciare troppo disordine in giro gli schemi del patriarcato, della post-ideologia, della nostalgia canaglia e dell'orgoglio. Il suo Sud pugliese è come il Sud campano di La Capria in Ferito a morte, ma senza passione e vera grazia: uno strumento, uno sfondo, osservato con l'arrogante pietà del privilegiato che non se la sente di vestirsi di gioiosa reazione o di onesto sprezzo. L'odio trattenuto e mai cosciente si biforca in due personaggi e diventa amore e odio, nessuno dei due trascinante, perché invece troppo coscienti del loro senso drammatico. Scappo dalla Puglia! No, io resto! Odio questa terra! E io la amo perché mi assomiglia... Roba del genere.

La scrittura mi è parsa sofisticata, nel senso buono e cattivo insieme. Il senso? È un romanzo di formazione. Un'autofiction. Che vuole esprimere dei giudizi. Troppi giudizi. E troppo vaghi. Giuduzi sulla società in toto. Sul divenire. Sull'essere contemporanei. Sull'essere fluidi. Sul non avere il coraggio di essere fluidi come vorrebbe la meglio società contemporanea. Con sguardo da avvocato che si aggrappa all'appiglio per peggiorare o risolvere la situazione. Per far assolvere o far condannare. Al lettore. L'imputato? Boh... Il maschio. Il passato. Oppure il Sud. Il Sud maltrattato e mai rispettato. Fuggito ma con distacco. Senza che abbia senso o pathos. Meglio Forgione, allora, che chiama Napoli mon amour e ci incanta con un po' di nostalgia da cartolina anni '80. Meglio ancora Franza, che ci tira in faccia una Cagliosa e ci intossica con la guerra di strada. Per il resto, Desiati dà al lettore ciò che il lettore vuole. Ciò a cui il lettore è stato educato. Quasi tutti gli altri che parlano di Sud lo fanno con la stessa intensità intermittente e la stessa mollezza emotiva di Desiati... O lo fanno pure peggio.

Il buono sta nelle note romantiche e sensuali. Dove l'autore caccia il meglio, soprattutto nelle ombre e negli aspetti un po' più vergognosi. Scrive bene, ve l'ho detto. Ma annoia. Come Lagioia. Per fare rima. Con Desiati. Che ha scritto Spatriati.

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