Perdersi, e non ritrovarsi mai più, nelle Ferrovie del Messico

Gian Marco Griffi vi fa fare un giro sul trenino che non porta da nessuna parte


Si chiama Ferrovie del Messico ed è un librone che non finisce più. Denso, callidissimo, antipatico. Me lo ha consigliato Anna. Ti farà impazzire, dice. Veramente?, dico io. Sì, è il genere tuo, dice lei. Ventidue euro, dice Amazon. Chitestramuorto, penso io. Insomma: Ferrovie del Messico: già il titolo mi puzza un po'. Di Gian Marco Griffi. Laurana editore. Pure l'editore mi puzza un po'. Ma in certe cose la puzza non va presa in considerazione. Si bada alla sostanza. Al nutrimento e al gusto che le pagine possono offrire. Si bada alla lettura. E vi dico com'è andata. 

Quattro giorni di attenzione per arrivare a un po' più della metà del testo. E ogni due pagine lasciarsi pigliare dalla voglia di saltare avanti o di sussurrare un bah. Infine un paio di giorni per abbandonare ogni velleità di completezza e un altro a maggese per maturare un giudizio. E poi... Poi, amen, mi è stato chiaro che non potevo, non volevo portare a termine l'impresa. Ma l'ho accettato. Io accetto sempre e comunque. Quando ti fanno, devi starci. 

Parlavo di giudizio. Ma non voglio offendervi con ciò che penso. E non voglio sprecarmi in valutazioni che non servono. Proverò allora a scrivere qualcosa per aiutarvi a orientarvi verso una simile lettura, dal mio punto di vista. E metterò fra parentesi quadre il fatto che il romanzo di Griffi mi ha fatto spendere tempo e denari e che mi ha dato da pensare, e fra parentesi tonde che mi ha fatto capire che l'ironia ha tanti obiettivi e modi d'essere ma se non sfiora la comicità pura diventa sempre stucchevole. Chiudetele da soli, le parentesi. No, un attimo, lasciate aperta la quadra. Mi preme aggiungere qualcosa sull'invenzione letteraria di cui il romanzo si fa un idolo: se essa non è ancorata a un'estetica chiara, produttiva e sensata, rompe e basta. E ti fa sussurrare i bah di cui dicevamo.


Ferrovie del Messico
Copertina così così, ma abbastanza rivelatrice di quel che troveremo nel romanzo


Già l'ho detto sette od otto volte in altri post di questo blog: i racconti, in genere, intesi come genere, mi piacciono così così. Quindi c'è un problema di base. E ho detto pure che non si legge un racconto vero, buono da cinquant'anni. I romanzi fatti di racconti, invece, sono la cosa che mi piace di meno. Stanno sul podio del peggio. Dietro solo a spendere ventidue euro per un libro che già sapevo che non mi sarebbe piaciuto. Ma va bene così: è sempre colpa delle donne. Più precisamente, delle donne che vorremmo vedere presto spogliate. Ferrovie del Messico, dicevamo. Gadda e Paolo Conte. Un po' di merda magica da realismo anti-liberale magico. E un po' di svecchiamenti di Plinio il Vecchio. Un pochino pure di patastoria. Anni Trenta e Quaranta. Deformati dall'esotismo che è sempre un po' il pregiudizio del miope. Hitler. Ironia da South Park su Hitler. Esuli. Commedia all'italiana come se ridotta e tradotta in un romanzo post-beat americano. Storie che intrecciano o non intrecciano altre storie, e si incontrano da qualche parte: in un luogo mutevole. Relativo. Con il vapore. Materia estrosa? Un bozzolo creato da un ragno ossessivo. Senza preda. Senza bella geometria. Un grafo? Eh, stiamo probabilmente hablando di wikipedia. Wikipedia letterario: ci puoi riconoscere tutti ma proprio tutti i riferimenti letterari che piacciono a certa gente in Italia, collegamento dopo collegamento. Che alla fine, si arriva sempre a Uomini e topi, o no? Cioè a quei riferimenti che si impongono (come fanno?) come critica e non attraverso la critica. Cento e passa anni di solitudine critica. Tragico e comico. Pure un po' di Walter Siti. Dicotomie. Descrivi il bello e poi arriva il brutto. Illumini la scena commovente e poi sorprendici con l'uscita grottesca. Da bambino hai letto Tre uomini in barca? Il personaggio degno ed eroico si oppone all'Alberto Sordi astigiano. Kafka e Joyce mischiati con Salgari. Salgari buttato su Fenoglio e Calvino. Ah, e poi la lingua arcaica e il finto piemontese, l'anglo-nazistichese. Eco del BARBERO romanziere, addirittura. L'amore deluso. I partigiani. I cartografi. I nazisti. I fiori. Italo Svevo, voilà. 

Sì, comunque molto levante psicoanalitico. Per colpa di Joyce, ovviamente. L'Italia divisa. L'Italia in divisa. Ancora là stiamo! I messicani. La faccia triste dell'America. Racconti, vi ho detto. Messi insieme a forza. Borsa. Senza soldi. Per perderli e perdersi. Fra un don Abbondio che che si chiama Tiberio, uno Steno che è un don Chisciotte innamorato di Tilde che è un'Aldonza un po' più self-confident e un fascista con un incarico speciale, da impiegato sognatore, e ancora schiattamuorti, oppiomani, spietatissimi SS, personaggi rubati a Faber e poveri cristi vari. Non sarà un'avventura. Picarismo troppo teatrale, eh, santa Brigida: questo è ciò che ne viene fuori.

Per dire cosa? Per inventare. Intrecciare e vedere di nascosto l'effetto che fa. L'ho preso anch'io. Ventidue euro. E a questo Griffi gli danno un premio grosso l'anno venturo, vedete come ve lo dico. Anzi, fa il secondo posto. E giù le mani da Gadda.

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