I diritti e i doveri di un lit-blog



Lit-blog, che? Espressione orripilante. Che simili cretinate abbiano vita e senso è a causa della crisi della letteratura. E poi, se pure un blog da niente come il mio, mai aggiornato, mal curato, cattivo e gratuito, ottiene un minimo di attenzione da parte di autori ed editori, significa proprio che qualcosa non va.

Dico autori ed editori, perché sono questi, sospetto, i lettori principali delle mie recensioni. I lettori veri mancano. Esistono ma chissà dove stanno e come si comportano. Sarei orientato a lasciarli stare, liberi, come si fa con le specie protette. Ma pare che invece sia necessario catturarli, per portarli a forza in libreria. Per educarli.

Se c'è crisi nell'arte letteraria è perché mancano i lettori. E i lettori mancano perché c'è crisi nell'arte letteraria. Da una parte abbiamo l'insensibilità culturale del pubblico. Dall'altra la scarsa qualità dei prodotti culturali. E in mezzo ci stanno giornali, riviste e siti specialistici, che dedicano poco spazio ai libri, e non sanno fare più critica. Sotto, invece, ci sono i blog, come il mio, che non servono a un cazzo, e si tengono così lontani da vera critica e sporca promozione.

Si dice da cento anni che la critica non è più critica. Che le recensioni non interessano né servono. Meglio un comunicato stampa, a 'sto punto. Ma cosa dovrebbe fare una recensione per servire? 

Non lo so, e non è un mio problema. Ho scelto la via della confusione, del solipsismo mischiato alla provocazione perché non ho pretese di far critica seria. Ma so che un certo solipsismo e troppe provocazioni sono dannose in altri contesti. Prendete quelle recensioni che appaiono su Minima & Moralia. Nel migliore dei casi sono pezzi senza contenuto, vacui, sterili, zero analisi, zero punti di vista, zero funzionalità. Nel peggiore sono polpettoni di egocentrismo e citazionismo. Il recensore fa di tutto per non farti capire niente e per dimostrarti che lui ha capito tutto. Del libro in questione parla a stento. 

così a cazzo
Così a cazzo

Certe recensioni trasmettono odio. Ti fanno passare la voglia di leggere quel libro, anche se ne parlano benissimo. Ti fanno sentire fuori posto, escluso da verità che conoscono solo il recensore e i quattro compagni suoi. Il linguaggio criptico e poetico è uno devi vizi peggiori della critica contemporanea. Gli apprezzamenti ingiustificati sono il secondo male più diffuso. Il recensore ci dice che quel romanzo è bellissimo e struggente. E non ci spiega mai il perché.

Approfondimento culturale, lo chiamano.

La buona recensione dovrebbe essere produttiva, funzionale. Chiara. Dovrebbe offrire strumenti di comprensione o di riflessione. Quindi preferisco di gran lunga quei pezzi che su limitano a fare un riassunto della trama: almeno mi comunicano qualcosa! L'ideale sarebbe avere di fronte un pezzo che non solo mi mette in luce gli snodi essenziali della trama, i contenuti fondamentali (senza scadere nella sinossi) ma mi dà pure qualche elemento su cui riflettere o qualche informazione che potrebbe coinvolgermi. Il giudizio serve, ma è secondario. La pars destruens può essere utile, ma da sola è irritante.

E io appunto punto a quello, a irritare. Ma lo faccio solo quando sono irritato davvero. Altrimenti taccio. E poi, come dicevo, io sto sotto, cioè fuori dal discorso.

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