Tutti si addormentano con Tutti dormono nella valle di Ginevra Lamberti

tutti dormono, e allora buonanotte

Ginevra Lamberti, brava autrice? Direi di sì. Equilibrata e piatta ma non troppo. Lievemente antica nel tono ma conscia di cosa va e cosa non va espresso nella scrittura letteraria attuale. A mio giudizio, una scrittrice che ha il dono di cogliere in tempo il lato gravoso e più umiliante di ogni situazione raccontabile, e che però si dà da fare per elevarsi al di sopra del dramma pratico, in modo da elevare la stessa materia raccontata. Sfuggendo a quella gravità, non chiamando cioè le cose con il loro nome, la Lamberti si complica spesso la vita-non-vita da narratrice e fa male anche al suo stile inizialmente affascinante.

Il senso di Tutti dormono nella valle  si straccia in una fisica di artifici e sospensioni che boh. E in conclusione si esprime come miseria. Quella di un'altra autrice con un altro bel romanzo che parla di fughe dal piccolo mondo antico e dal tempo ordinario. Con i zompi nel passato e nel presente. Nell'io e nel loro. Nella realtà e nel sogno. Per fare poi avanti e indietro, fare confronti, riflettere, descrivere con distacco tutto il possibile e poetare. In coro, ovviamente. Con le generazioni che si susseguono. Si tratta di far parlare i fatti. E i fatti sono un casino di personaggi. Ma si tratta anche di far capire che parlare è inutile: nessuno sta a sentire. Vivere è liquefarsi. Perdersi nel dolore, sognare cose impossibili, andare, venire, star fermi, rimpiangere, prendersi cura di qualcuno o qualcosa che poi si rovina comunque. Cercare la libertà nell'amore, nella droga e nell'ascesi. Nel cuore marrone, intossicato di eroina. Sì, bravi. Un romanzo sull'andarsene. Dall'amore al tormento. E viceversa. In movimento troviamo madre, figlia e nipote. Tre femmine, una più sfortunata dell'altra. Dagli anni '60 ai giorni nostri. Tutte e tre cucite da un tormento sopportato per decenni. Ma il tormento è da tutte le parti: nelle ombre, nei dialoghi, nelle fitte tenebre, nei minuti che passano. Nell'altrove evocato con troppe aspettative.

Tutti si dormono nella valle è un romanzo consacrato alla memoria. Probabilmente si parla di fatti personali, cioè familiari. E non ha importanza né senso chiedersi quanto siano stati estetizzati, dato che la loro espressione manifesta soprattutto un significato storico, sociologico e infine simbolico. I personaggi, lo avrete capito, sono troppi. Al centro ci sono però Costanza e Claudio. Costanza è l'incostanza: scappa sempre, non vuole più stare nella sua casa nella valle. E scappando si pone di qua e di là della linea del tempo storico. Sovente, poi, fa ritorno. Ma poi riscappa. Cura e aggredisce, anche se poi si risolve nell'archetipo della madre che salva e sempre accoglie. Una donna che cerca un qualcosa che le sfugge. Cerca Claudio, appunto. Cerca Roma. Cerca l'antitesi della valle. Ma, in fondo, pure lei s'impegna per non trovare niente. Cerca il passato che ritorna o che viene dissimulato. Artificiosamente, però. Nella sopravvalutazione e nell'idealizzazione della sofferenza e del perdono. Che sono due sentimenti più stupidi che pericolosi, soprattutto se appesantiti da una sproporzione di valore. Com'è pericoloso il confronto fra vecchie e nuove generazioni, che pur non volendo azzardarsi a esprimere giudizi di valore, cioè a dire chi è meglio e chi è peggio, poi lo fa. E qua sono peggio le vecchie generazioni, che cercavano di fuggire dalla realtà nel modo più becero possibile. Cioè con la siringa. L'autrice si trattiene, prova a non trasformare in epica dell'ingenuità la brutta abitudine dei vecchi da giovani di fingere un po' di poesia chiudendo gli occhi per trovare in tutti i modi un bagliore interiore con cui nobilitare la loro volontà di niente. In questo sono meglio delle nuove generazioni? Sì: i giovani giovani sono già vecchi, ci suggerisce il romanzo. E non è colpa loro. Si fanno di consumismo e televisione, e sono individui più tristi e smarriti solo perché consapevoli, più profondi, più vivi nel loro morire. 

La Lamberti ha talento, e si fa leggere nonostante la sua storia sia noiosa e inconcludente. Riesce a incantare con un lessico pulito e un tono che in certi casi si stende come una diario di una maestra ottocentesca. 

Buonanotte, con Tutti dormono nella valle 


Il pregio vero di questo romanzo sta tutto nello stile. Il difetto? Il difetto sta nel suo essere pieno di scene soporifere e soluzioni antipatiche. Apparenti. E costruire un romanzo intero sull'apparenza del sogno infranto, sulla realtà che vince la volontà. Chi scappa alla fine torno. Ai suoi doveri, alle catene sentimentali. Al senso di colpa. Costanza si scopre incinta e torna nella triste valle. Si piglia cura della madre moribonda, cura il marito tossico, si spegne nell'occupazione emotiva. La storia di tutti o quasi. Resa forzatamente memorabile dal contesto controculturale. Un contesto monotono, nonostante i tempi spezzati, l'andare di qua e di là nello spazio e nel tempo. Ci si impegna a capire. E si capisce pure. Ma ce ne vuole. Il titolo è onesto, però. Te lo fa capire subito, appunto. Se poi non capisci, fatti tuoi. Il languore ci sta. Prendi la cinematografia sull'argomento: è tutta un po' soporifera, tranne Trainspotting. Deve esserlo. Ma qui, nel romanzo, mentre si dorme e si fanno un sacco di sogni opprimenti e ripetitivi, nell'eterno ritorno, ci si angoscia sull'angoscia dell'angoscia senza neanche provare per un attimo piacere dell'angoscia pura.   

Commenti