Massimo Carlotto, troppo francese

La collana dei Gialli Mondadori. Intesa dagli invidiosi più snob e maligni come un cappio. O un ornamento capace di reggere abbastanza a lungo e abbastanza in alto la carcassa di un ideale estetico. Carlotto è forse il più giallo dei Gialli Mondadori. Un giallo quasi arancione che a forza di ombre, penombre, ombrelli da aprire o non aprire sotto la pioggia e docce di tenebre si riempie di doverose sfumature grigio-compromesso da ossidazione. Tra parentesi  dire giallo scuro o dire noir chiaro non dovrebbe essere proprio lo stesso. Ma cambia poco, direte voi. Ok, dico io. 

La questione, tutta intera, potrebbe pure chiudersi qua. Ma è il caso di ricordare che Carlotto sa scrivere quel che è chiamato a scrivere. E volendo potrebbe pure cambiare colore. Non lo fa, principalmente perché quel giallo sporco per lui è oro.

Il fatto che Il Francese sia firmato dallo scrittore più quotato, ammirato e letto del genere giallo ci obbliga a una riflessione un pochino più articolata. Non sul fondamento stesso della questione, ossia su come Massimo Carlotto sia riuscito a volgarizzare Scerbanenco e a ottenere un simile successo. Il giudizio, questo appena espresso, a posteriori potrebbe pure scindersi. C'è infatti chi potrebbe parlare di un successo meritato. E chi di un successo imbarazzante. Rallentiamo. Anzi, arretriamo. Dobbiamo purtroppo concentrarci sul titolo più attuale. Il francese, della collana Giallo Mondadori. E sul meraviglioso fatto di trovarci di fronte a una storia così incredibile e al tempo stesso piatta da rappresentare la prospettiva della retta, irrefrenabile, della carriera letteraria di uno scrittore tanto importante. L'incredibile di una volta poco c'entra. Quello era una cosa diversa. Era fantasia, gusto melodrammatico, spirito di rottura, certe volte pure originalità. Oggi è invece pretenzioso e calcolatissimo sfoggio di cinismo intellettuale miscelato con distratta attenzione ai temi che pesano e ai più pruriginosi istinti censurati dalla bella coscienza della nobiltà morale.

Carlotto è un vero maestro; ha sempre fatto questo: forzato storie di respiro sguaiato americano in contesti più locali e quindi mediocri, o verosimili che dir si voglia. E da questa frizione è venuta fuori la sua voce. Brutta, lamentosa e utilitaristica. Quindi rilevante.

Malauguratamente Il Francese si conclude con un cosiddetto finale aperto. E dunque avremo ancora a che fare con questo finto cattivo, simpatico ma solo nella distorta percezione di una cultura umana nord-levantina che, per motivi storici e geografici, non è mai potuta entrare in diretto contatto produttivo con il concetto di simpatia vera. E mi perdonino i settentrionali levantini. Ciò che intendo è che questo importante e naturale distacco dall'umanità dotata di un'anima vivace poteva essere un pregio, il più alto valore della prosa di uno scrittore sensibile o appena più onesto. Ma le cose non sono andate in questo modo per il maestro del noir italiano. Per fortuna dell'autore stesso. Che così è stato in grado di passare per oscuro disincantato cantore del fallire di ogni valore positivo. O quasi. Perché là in fondo, verso l'invisibile punto di fuga, si muovono ancora dei fantasmi. Quello della giustizia è il più grosso e spaventoso. Quello della pietà arriva qualche secondo dopo. E c'è pure quello dell'onore. A riprova di quanto povero sia in effetti il tenore estetico dell'impianto morale riverberato dalla prosa.

Qui Carlotto avrebbe potuto dar luce a personaggi puramente odiosi. Ma si è cacato sotto. O non ci è riuscito per limite tecnico. Avrebbe potuto descrivere lo svilente squallore della prostituzione contemporanea. Ma ha preferito fare l'espressionista. Realismo trattenuto, per non rischiare di urtare i meno avvezzi alla volgarità. Volgarità suggerita ma non esperita, per non tentare una strada troppo ripida o rapida di comunicazione.

Volevo disegnare la copertina, ma non se lo merita. Quindi niente. Torniamo al libro.

La storia riguarda un mercante di schiave del sesso e ci invita a sbirciare senza troppa soddisfazione in maison casalinga. Poi arriva l'intrigo internazionale a stroncare il voyeurismo. Come una commedia erotica diretta da Guadagnino. C'è puzza di maniera francese. Troppo francese.



Il plot appare quanto mai noioso. Le puttane incarnano indossano una maschera teatrale. E in questo modo nessuna femminista accuserà l'autore di maschilismo. Poi una delle ragazze scompare. Arriva il commissario Ardizzone. Arrivano le bande di criminali. E il Francese deve trasformarsi in investigatore per salvarsi il culo e la professione.

Commenti