Bazzi minore

 


Passata la Febbre, Jonathan Bazzi doveva almeno far finta di provare a convincere il pubblico, cioè soprattutto gli animatori, dei premi di livello e di quelle classifiche di qualità che lo hanno alzato in cielo di essere un bravo autore. In pratica, far finta di non far finta di... Che poi, non scrive male, il ragazzo. E se è arrivato dove è arrivato con la sua opera prima, non è soltanto per ragioni di consorteria e hype. Per me, Bazzi è uno che ha letto cose buone e ne ha fatto tesoro. Uno che sa scrivere in italiano. E che ha capito bene su cosa puntare per dare risonanza alle sue velleità artistiche. Un Siti generazione Millenial, magari profondamente segnato da serie americane in americano, lagne tipo Radiohead e documentari sulle lotte LGBT a New York nel 79... Il tutto in streaming e mentre si organizza una nuova battaglia sociale, online, per boicottare le buste di plastica al supermercato. 

Piace come personaggio perché è un innocuo che al momento giusto sa apparire fragile o sfrontato. La sua storia personale ha di certo un significato espressivamente valido per certi referenti. Tranquilli, non voglio insistere criticamente su cose già dette e che non mi permetterebbero un'analisi più profonda di una sbuffara. C'è una consorteria editoriale di cui accennavo sopra. Questo strano potere italiano fondato sulla mediocrità culturale che parte da Lagioia e finisce alla Lipperini passando per la Murgia e la Valerio. È cosa nota e da giustificare perché reale. Ed è lampante che Bazzi faccia meritatamente parte della premiata e premiante cricca. Anzi, potrebbe pure mirare a dominarla, la suddetta cricca. E se non lo fa è perché, il ragazzo, ha ancora addosso la voglia di fare l'outsider. Sarà un puro. O lo sarà stato. O cercherà di parerlo. Non importa. La sua storia personale non ha nulla di così speciale, e tolta la malattia che sfortunatamente deve affrontare, gli si toglie anche ogni contenuto. Ma neanche questo è un problema, dato che ogni ente è espressione del proprio essere o della contingenza o che cazzo ne so io. Il problema vero è che il suo punto di vista non è interessante: è un ipermetrope fuori dall'alternativa che si guarda dentro mentre si cura fuori e si compiace dell'effetto del tormento, normalizzando nell'effetto stesso il suo sguardo iniziale per via di una miopia acquisita per posa. Cioè per colpa di posizioni presuntuosette e moraleggianti fedeli alla nuova linea. Mi seguite?

In Corpi minori Bazzi era chiamato a dimostrare di avere qualcosa da dire. Ma alla fine ha detto ciò che già era stato detto, limitandosi a complicare nel gioco delle stratificazioni il vittimismo, la presunzione e la vanità dell'autofiction. Il giovane protagonista del suo ultimo romanzo fugge dalla periferia per realizzarsi a Milano. Ma Milano è lo stereotipo antico ed eterno di una piccola metropoli spersonalizzante, falsa, avida e fredda. La meta nebbiosa ma scintillante dove diventi un tossico o un pr. Se hai talento o una raccomandazione, metti su un locale o diventi un manager. Oppure ti perdi, stilosamente. E il corpo minore di Johnny si perde. E poi si ritrova. Nell'amore. Oh, mio dio. Il protagonista conosce la sua Beatrice maschio e si lascia condurre in paradiso, attraverso il purgatorio. E questo è, più o meno. Il tutto scritto secondo una lingua precisa e funzionale, perfetta per il Venerdì di Repubblica e per i post lunghi su Instagram. Stucchevole dopo dieci pagine. Vacua dopo venti. Sesso e trasgressione sembrano temi trattati come se fossimo negli anni '80. Il corpo evocato dal realismo ideologizzato dell'autore non ha nessuna rilevanza simbolica. Tutto è sintetico, dallo stile al concetto. E annoia.

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