Alberto Ravasio, La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera

L'inetto Guglielmo Sputacchiera è quel potremmo definire un personaggio impossessato in particolare quel particolare spirito ibrido demenzial-impegnato che tanto piace a certi lettori italiani da classifica di qualità, dai trenta ai cinquanta. Un Fracchia kafkiano lombardizzato e gaddizzato surrealmente votato alla contaminazione fra sciocco e pretestuoso. L'idea del testo è semplice ma interessante come puro spunto narrativo: un fesso che si sveglia non insetto ma donna. Autori più coraggiosi erano già andati oltre trasformandosi in mega tette. Ma lo stesso Paolo Villaggio era riuscito a immaginare sviluppi un po' più articolati e divertenti. Quindi sorvoliamo. L'humus culturale è relativo alla melma del precariato intellettuale. Squirting di cultura adult-oriented, irriverenza alt-pop e riferimenti politici e falsamente osceni. Poi arriva il meglio. I personaggi di contorno. Ovvero i pezzi di reale che irrompono nel cervellotico incubo erotico. I parenti dello Sputacchiera sono adorabilmente mostruosi. E vale da solo il prezzo di copertina l'invasato religioso.



Faticoso da leggere per intero, il romanzo mi ha offerto un paio di soddisfazioni. L'autore, a modo suo, si è dimostrato simpatico e brillante in almeno quattro trovate. La disperazione che si spoglia di sarcasmo mi commuove. E quando la trovo, anche solo in una pagina, la apprezzo. E qui c'è dunque qualcosa da apprezzare. Quanto? Poco. Ma meglio di niente. Di più che posso dire. Niente. Ho bevuto troppo. E a un certo punto non è cosa. Dopo una certa età, dico. Scrivo per non leggere. E per non guardare Propaganda Live.

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