I tre esorcismi di Rafilina da Torrecuso: uno strano romanzo storico




Subito fuori dallo steccato della nicchia medievalista degli adoratori di Barbero ma pure abbastanza lontano dal forno in cui si impastano o si riscaldano i polpettoni di narrativa storica che piacciono al pubblico bruto. Questo I tre esorcismi di Rafilina da Torrecuso si pone per ambizioni e resa ai margini delle cose solite, cioè al di sopra, e nel farlo si permette una prosa poetica che ha in sé il ritmo dell'endecasillabo, salvo poi dilungarsi in lunghi elenchi sincopati che ricordano le formule magiche. La narrazione penetra e poi indugia nella grande storia, quella del Duecento, guelfi e ghibellini, questa roba qui, ma si perde subito tra le penombre di un passato infame e sconfitto, parlando di pezzenti e di pensieri pericolosi, forse preoccupandosi troppo di dar voce agli ultimi.

I tre esorcismi di Rafilina da Torrecuso


La protagonista, Rafilina, è una poveraccia che i monaci del paese sospettano indemoniata, dato che s'è messa a mostrare con i suoi silenzi e le sue occhiatacce troppa indipendenza spirituale e scarsissima obbedienza alle regole sociali e religiose. Per questo un vecchio monaco se la carica su un asino e se la porta fino a Napoli per farla visitare da un domenicano in fama di santità. Si scoprirà che questo domenicano è nientepopodimeno che Tommaso d’Aquino, il dottore angelico della Chiesa. Descritto nel libro come un borioso e pesante uomo di mezz'età, con la faccia da molosso e la mente un po' svagata da fanatico che ha perso ogni contatto con la realtà.

Tommaso prende Rafilina e, come promesso dal titolo del romanzo, tenta un esorcismo. Ma dato che il diavolo non esiste, il rituale va uno schifo. I religiosi non si arrendono e costringono la sfortunata ragazza a incontrare altri vari invasati, per essere liberata. Il gioco del testo sta proprio nell'opposizione fra due visioni del mondo. Il bene e il male come apparenze. Chi dice di voler fare il bene, liberare e salvare le anime lese dal tormento, in realtà, vuole solamente opprimere e condannare per ribarire la propria superiorità. Chi si sente oppresso e schiacciato dall'ignoranza, dal peccato e dalla povertà spirituale, invece, dimostra spesso più profondità e slancio di sentimenti verso il mondo, ma senza annientare quella coscienza del male, che è figlia dello stesso esistere.

Il romanzo raccoglie in sé varie cose. Prima di tutto un'avventura, poi uno spettacolo di ricostruzione scenica di paesaggi e ambienti dettati al lettore come si faceva nell'Ottocento, cioè descrivendo pesantemente, ossessivamente, in totale controtendenza con il modo contemporaneo di narrare per accenni e sospensioni. E poi? Poi ci sono le aperture horror e i passaggi comici, spesso appesantiti da molti ragionamenti paradossali o tragici, pure blasfemi, in una stratificazione di voci, simboli, generi e concetti che risulta un po' presuntuosa.

Di Giuseppe Franza avevo letto il romanzo Cagliosa, sempre pubblicato da Ortica editrice, che ho pure recensito su questo blog. Uno dei due o tre libri di cui ho parlato bene, credo. E, devo dirlo, tutto quello che mi era piaciuto di più in Cagliosa mi è clamorosamente mancato ne I tre esorcismi di Rafilina da Torrecuso. Là lo stile era febbrile, sporco, contaminatissimo ma totalmente funzionale allo spirito della cosa narrata. Qua lo stile è quasi severo, estetizzato, traballante fra il gotico, il barocco e il moderno russo, sempre troppo temperato rispetto a ciò che viene esposto. Là i personaggi erano difettosi, corrotti e adorabilmente brutti, quasi fotografie sfocate rubate alla mobile e sfuggente realtà che bisognerebbe nascondere. Qua invece ci sono troppi personaggi impostati e appesantiti da echi letterari, pezzi di scenografia teatrale, prototipi. L'autore ha cercato di inserire parti comiche e grottesche per stemperare l'evocazione nostalgica di un passato lontano e misterioso da libro storico manzoniano ma nel farlo ha dimostrato un atteggiamento troppo freddo, opposto alla ruvida immediatezza comunicata nell'altro libro. Dal descrivere la sopravvivenza della dignità nella periferia napoletana contemporanea si è passato a raccontare le forme assunte dai fumi degli incensi nei conventi, per dire. Il piacere della lettura si perde spesso per dar spazio ad altre cose, che sono meno importanti. Ma alla fine, è ok, pollice verso. 

Il libro, dopo l'iniziale diffidenza, mi ha preso ugualmente. Fosse stato di un altro autore lo avrei promosso senza imbarazzo e messo nella classifica che mi sono dimenticato di fare dei libri più belli del 2022. Ma avendo letto Cagliosa non posso far altro di definire questo romanzo storico come un libro parecchio strano e spiazzante. Spiazzante nel senso di forzatamente destabilizzante. Dal mio punto di vista, chi ricerca il destabilizzante fa sempre qualche errore. Chi lo dice che le cose destabilizzanti devono essere sempre positive? In arte e in letteratura c'è questa brutta tendenza a pretendere dalle opere effetti urticanti, sorprese e meraviglie. Ma certe opposizioni così nette non sono un valore. O non lo sono sempre. Specie se il tema sembra come in questo caso ideologgizato. L'emancipazione femminile è poco credibile nel Medioevo. Questo è il mio commento. E questo è alla fine il punto che perplime. Per il resto, mani alzate, c'è davvero uno spettacolo di livello, quasi sempre soverchiante, di demoni, sguardi, paure, inettitudini, spiritualità e antichità perdute. 

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